Indivisibili

Le due ragazze siedono una di fronte all’altra sul lettino singolo che sta in centro alla camera. Siedono composte, occhi negli occhi, tenendosi le mani.

Sulle pareti campeggiano i poster degli idoli delle adolescenti: cantanti pop, attori. Sopra la scrivania ingombra di libri e quaderni accatastati alla bell’e meglio, una lavagnetta ospita tante fotografie in disordine: Livia con le sue migliori amiche, Livia nella foto di classe della gita di due anni fa, Livia che sorride radiosa nella sua foto migliore, Livia abbracciata alla sua nonna.

La nonna è morta solo un anno fa; una nonna importante e molto amata, che aveva saputo sostituire egregiamente il padre, andatosene troppo presto e scomparso completamente dalla vita di Livia, e la madre, troppo impegnata a occuparsi di tutto per potersi dedicare anche alla figlia.

Grazie al cielo però c’era nonna, che offriva a Livia ascolto, affetto, coccole e regole. Le regole erano la parte amara e spesso erano state al centro delle loro liti. Litigavano per l’orario di rientro, litigavano per i ragazzi con cui Livia usciva e che a nonna non piacevano, litigavano per i brutti voti a scuola e litigavano per le faccende di casa, che Livia detestava e schivava allegramente. Ma nonna era sempre lì, a richiamarla all’ordine, a costringerla a crescere autonoma, ad accettare le fatiche, ma anche pronta a lenire la sua solitudine di figlia unica di madre single.

La morte di nonna era stato davvero un brutto colpo, ma in qualche modo aveva permesso a Livia e alla madre di riavvicinarsi un po’. All’inizio era stato difficile, perché dovevano reimparare tutto dal principio: a conoscersi, a parlarsi, ad ascoltarsi, ad apprezzarsi. Pian piano erano riuscite a legare e a convivere in modo persino affettuoso.

Ma su una cosa gli scontri erano all’ordine del giorno: l’attesa del grande amore era sempre al centro della vita di Livia, mentre sua madre, amareggiata dalla vigliaccheria del marito fuggito chissà dove appresso a un’altra, non la sosteneva. Anzi, appena poteva la metteva in guardia, le smontava i ragazzi da cui si sentiva attratta, la frenava. E così Livia, poco per volta, aveva imparato a non confidarsi con lei, a non raccontare dei propri innamoramenti. Le sue confidenti erano le sue amiche del cuore.

“Noi siamo indivisibili!” diceva sempre Livia quando si ritrovavano per i loro pomeriggi di chiacchiere e di giovanili risate.

Un piccolo colpo alla porta fa girare le ragazze all’unisono. I loro volti sono inondati di lacrime: “Ragazze, se volete scendere il funerale inizia”.

Stancamente, le due ragazze si alzano e, sempre tenendosi per mano, si avviano al piano inferiore.

Una folla di persone nerovestite ingombra l’appartamento e il giardino di fronte a casa. Il salotto è stato allestito come camera ardente, al centro la bara socchiusa.

“Io e lui siamo perfetti insieme” raccontava loro Livia raccontando di quel giovane uomo conosciuto una sera in discoteca “Lui è il mio vero e unico amore”.

Lui era più grande, ma a lei non importava. Lui era possessivo, ma lei lo considerava un segno d’amore. Lui la voleva tutta per sé, ma lei non ci trovava nulla di male. Lui la allontanava dalle sue amiche, ma lei non dava peso alla cosa. Raccontava loro di quanto fosse fantastico stare con lui, sentirsi amata. Non nascondeva nemmeno il minimo dettaglio, alle sue migliori amiche.

“Dovevamo fermarla” sussurra una delle due adolescenti guardando la bara.

L’altra non risponde ma inizia a singhiozzare. Chi poteva immaginare che sarebbe finita così? Chi poteva immaginare che quell’uomo, che sembrava avesse portato una nuova felicità nella sua vita segnata dall’abbandono, avrebbe invece portato alla morte?

Nella bara Livia appare pallida e luminosa come un’attrice, bellissima e serena. Forse finalmente felice.

Accanto alla bara sua madre siede immobile, l’espressione catatonica di chi non riesce a farsi una ragione di ciò che sta accadendo.

Ha lo sguardo fisso davanti a sé, le mani abbandonate sul grembo, il viso che ricorda un edificio crollato in seguito a un terremoto. Come quelle case a cui è crollata un’intera parete esterna, e dentro vedi ancora il letto col copriletto in pizzo bianco della nonna, il comodino con la sveglia e l’abat-jour, e poi il cassettone sormontato dalla specchiera, magari un brandello di finestra completa di tendina ondeggiante al vento, così la donna ha capelli, abito e trucco curati e perfetti, ma dal suo sguardo traspare la distruzione completa. Se ne sta immobile, mentre tutto intorno a lei è un turbinare di gesti e di sguardi; ma nessuno la tocca, come se fosse protetta da una campana di vetro, come una di quelle statue di cera, dall’incarnato luminoso e freddo e dallo sguardo perso e fisso.

Le due ragazze, sempre mano nella mano, si mettono di fronte alla donna: “Ci dispiace così tanto” dicono all’unisono con voce rotta.

Come colpita da una bastonata, la madre di Livia solleva di scatto la testa, fissa lo sguardo sulle due adolescenti e la sua bocca si schiude come per dire qualcosa. Ma quello che prorompe dalle sue labbra è un grido ferino, un roco ruggito di dolore. E per la prima volta da giorni la donna comincia a piangere, le lacrime rotolano grevi sul volto, segnandolo col trucco che sbava.

Il volto impassibile diventa in pochi istanti una maschera tragica, le mani si sollevano verso i visi delle due ragazze. A fatica la donna si alza dalla sedia su cui stava da ore e afferra quei due visi freschi, si aggrappa disperatamente a quei corpi esili in un abbraccio che sembra un’aggressione.

Le tre donne si stringono emettendo singhiozzi strazianti. Quasi tutti i presenti non resistono a questo spettacolo e cominciano a piangere. È come se si fosse rotta la diga che tratteneva il dolore e ora ondate di rabbia, disperazione, strazio, sconforto, desolazione, travolgono le persone racchiuse nella stanza.

“Lui aveva 20 anni più di lei” mormora una donna alla vicina, mentre si asciuga le lacrime che non riesce a trattenere “Forse perché le era mancato tanto il papà…”

“Ma cosa è successo?” riesce a malapena a mormorare la sua interlocutrice.

“Dicono che lui l’abbia chiamata per dirle che voleva lasciarla. Lei è corsa da lui e per due settimane è sparita”

“…e?”

“E niente. L’hanno trovata morta in un casolare abbandonato.”.

“E lui?”

“Lui con la polizia nega tutto. Di averla chiamata, di averla incontrata… Dice che è scappata di casa da sola, che lui non ne sa niente… ”

“Oddio che tragedia!!!”

Alcune figure si stagliano controluce sulla porta d’ingresso interrompendo la conversazione: i portantini sono arrivati per chiudere la bara e trasportarla al cimitero.

I presenti si aprono al loro passaggio, la madre e le amiche del cuore di Livia sono ormai un corpo unico e si avviano per prime a seguito della bara.

Quando il corteo giunge al cimitero strisce rosate e di un giallo acceso attraversano il cielo, facendo presagire un tramonto spettacolare. Ma nessuno lo vede.

Gli occhi sono velati dalle lacrime, i singhiozzi sfuggono dalle bocche serrate. Troppo giovane per morire, troppo bella per finire in una bara, dicono tutti. Che disgrazia, che ingiustizia! Ma qualcuno dovrà pure pagare per questo misfatto!

Le lapidi tutto intorno sembrano oscillare sotto le ondate di rabbia e di astioso desiderio di vendetta che animano i presenti. Tutti pensano a quell’uomo che ha distrutto una giovane vita, alla giusta punizione che lo colpirà, e consolati da questa certezza uno per volta se ne vanno, tornano alle loro case calde e piene di presenze. Alcune anime pietose avvolgono coi loro abbracci la madre per riportarla nella sua casa ormai deserta e di fronte alla lapide chiara e fresca rimangono solo le due amiche del cuore di Livia.

Sussurrano, le due ragazze, parlano piano con la loro amica morta: “Perché lo hai fatto?” bisbigliano “Perché gli hai permesso di separarci?”.

“La colpa è solo tua, sei tu che ci hai costrette a farlo. Ti avevamo avvertita”.

“È vero: te lo avevamo detto che sarebbe finita male. Sei tu che hai mancato alla promessa”.

“Sì, sei tu che dicevi che eravamo indivisibili. Ma poi ci hai tradite”.

“Sì, tu ci hai tradite”.

“Te la sei voluta. Non ci si comporta così!”

Poi i bisbigli cessano. Tutto intorno il crepuscolo anima le tombe di ombre e fruscii. E le due ragazze, mano nella mano, finalmente se ne vanno.

 

di Maddalena Gregori

2 Risposte a “Indivisibili”

  1. Probabilmente risulterò sgradevole ma non sento di poter in alcun modo giustificare un delitto.
    Questa storia racconta un assassinio. Togliere deliberatamente la vita ad un’altra persona non ammette attenuanti, compresa la giovane età. Piuttosto bisogna interrogarsi su quanto grave sia la scarsità, direi assenza di valori in queste due adolescenti, al punto da ritenere l’amicizia un patto e, per di più, orrendamente inviolabile.
    Come se la simbiosi (malata) nata da una dipendenza affettiva fosse l’unico modo per colmare il proprio nulla interiore e per sentirsi gratificate, bisognasse lavare l’onta di un tradimento.
    Tradimento, poi! Un’amica che ti confida tutto quello che non dice a nessun altro ti vuole bene, e soprattutto ti considera depositaria della sua fiducia. Se si distrae temporaneamente, o a lungo termine, per un amore, chiede solo che tu la sostenga gioendo della sua gioia. A tutte le età.
    Mi fa orrore, come se “Indivisibili” fosse un patto mafioso, e chi lo ha violato deve pagare con la vita.

    1. Nessuna giustificazione. Per le due protagoniste provo orrore, come quando si legge di certi serial killer: troppo lontano da me per essere comprensibile. Giustificabile assolutamente no!
      E, sì. sei stata brava: il patto tra le due amiche è di tipo omertoso e autogiustificante, proprio come fa la mafia.

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