La befana vien di notte

“Sei una befana! Questo sei!”

La voce acuta del ragazzino la rincorreva mentre lei volava lungo le scale.

“Che succede?” Accidenti, non pensava certo di incrociare sua madre proprio durante la sua fuga da quelle urla stridule “Perché tuo fratello grida a quel modo?”

Ma Astrid aveva già abilmente dribblato la madre scavalcandone la mole raddoppiata dalle borse della spesa e aveva ripreso il suo volo verso la strada.

“Torna subito indietro! Non hai il permesso di uscire!!!” La voce di sua madre rimbombava per tutto il caseggiato, ma lei se ne infischiò. Che ci restasse lei da sola a far piazzate, a far le sue solite figure di m, gridando come una pescivendola in mezzo alle scale del palazzo.

La voce della madre continuava a inseguirla ma la ragazzina non le dava ascolto e, giunta al portone, si tuffò nella strada, svoltando ad angolo retto lungo il marciapiede, respirando a pieni polmoni, libera.

Temendo che la madre potesse decidere di mollare la spesa sulle scale e inseguirla, continuò a correre fino a raggiungere il parco. Arrivata all’altalena si fermò, il fiato corto, le gambe dolenti. Si girò per controllare se la madre le fosse appresso ma no, non c’era. D’altro canto era improbabile che, con la sua stazza, si mettesse a correre e potesse raggiungerla. Ancora più improbabile che mollasse la spesa per le scale, col rischio che qualcuno se la rubasse. Che poi si mettesse all’inseguimento carica di tutta la spesa era decisamente impossibile.

Svanito ogni possibile rischio di venire raggiunta dalla furia materna, Astrid sedette sull’altalena dondolando lentamente. Per precauzione teneva sempre d’occhio la strada, caso mai la madre si decidesse, una volta posata la spesa, a venire a cercarla. Capace di farle una scenata lì in mezzo alla gente, quella.

A mamma non interessava sapere cosa fosse successo, si limitava a sgridarla non appena suo fratello frignava, o se lei usciva senza il permesso, o se non stava ferma a prendersi le sberle.

Astrid già se lo immaginava suo fratello, che col fatto di avere tre anni in meno otteneva sempre la ragione perché “è più piccolo”, se lo immaginava mentre, singhiozzando in modo plateale, raccontava la sua versione dei fatti, che lei era stata cattiva, che lo aveva trattato male, che si era mangiata l’ultimo pezzo di pandoro avanzato dalle feste. Il pezzo di pandoro che lui stesso aveva rifiutato mezz’ora prima e che lei si era mangiata perché le era venuta fame. Ma insomma, lui non l’aveva voluto e quindi lei non glielo aveva rubato, e quindi non aveva diritto di strillare che era suo, che lo voleva indietro. Se avesse potuto Astrid glielo avrebbe sputato addosso, glielo avrebbe rigurgitato, ecco!

Glielo avrebbe rigurgitato e glielo avrebbe fatto mangiare!!!!

Ripensando alle richieste assurde del fratello, a quel suo pretendere di aver sempre ragione, ad Astrid era montata una rabbia furiosa e, così, un po’ per sfogare la collera, un po’ per svagarsi,  aveva cominciato a dondolare sempre più rapidamente, sempre più in alto, sempre più pericolosamente. Quel movimento rapido e il rischio continuo di superare la linea sottile tra il dondolare e il cascare le aveva causato un’eccitazione euforica. Continuò a darsi lo slancio per un bel pezzo, sorridendo al mondo che le appariva e spariva davanti, fino a quando il gioco non la stancò e pian piano ridusse il dondolio fino a fermarsi.

Il sole stava calando e solo in quel momento Astrid si rese conto di essere uscita di casa senza la giacca. Senza più nemmeno il pallido sole invernale a riscaldarla, senza l’eccitazione del gioco, coperta di sudore, cominciò a tremare. Il parco poi stava rapidamente cadendo ostaggio delle ombre della sera che avanzava.

Tornare a casa non era possibile, la aspettavano sicuramente schiaffi e rimproveri, e magari le risate di quello stronzo di suo fratello. No, non poteva rientrare. Per non parlare della furia che sicuramente era maturata in sua madre, visto che non solo aveva ignorato i suoi ordini ma addirittura stava facendo tardi, anzi tardissimo.

Il parco si era svuotato e le luci degli appartamenti avevano cominciato ad accendersi: i grandi tornavano dal lavoro, venivano preparati pasti e apparecchiati tavoli, tutti si apprestavano a cenare, ad andare a dormire, nel caldo delle loro case. Astrid si mosse piano, lungo i marciapiedi del suo quartiere, abbracciandosi per poter trattenere almeno un po’ il calore, ma il freddo di gennaio le penetrava sempre più a fondo nelle ossa. Cominciava ad avere paura, ma non si risolveva a tornare a casa: aveva paura anche di quello. Cominciarono a spuntarle grosse lacrime che asciugava in fretta, con la manica del maglioncino leggero, divisa tra il terrore di rientrare, rischiando dure punizioni, e quello di restare fuori, senza sapere dove andare, tremando di freddo.

Si mosse in direzione di casa, guardandosi intorno alla ricerca di un luogo riparato in cui potersi rintanare, ma non riusciva a scorgerne, per non parlare della gente che stava pian piano animando la strada: visi torvi, sguardi spaventosi che la seguivano a lungo nel suo peregrinare. Spaventata Astrid prese a camminare lesta, come se sapesse dove doveva andare, sperando così di sottrarsi all’attenzione di quella gente che la terrorizzava, ma ormai la paura era troppa, le lacrime scorrevano liberamente e dei singulti irrefrenabili le scuotevano il petto.

D’un tratto un suono attirò la sua attenzione, delle voci, delle grida. Una voce sopra le altre: quella di sua madre. “Astriiiiid! Astriiiid!” gridava.

In quella voce non c’era rabbia, c’era tanta paura e così la ragazzina prese a correre nella direzione della voce: “Mamma!” cominciò a dire “Mamma” prima piano, poi con tono sempre più alto “Mammmmaaaaa!!!”

“Astriiid Astriiiid!!!” le fece da controcanto la voce materna, fino a quando le due ombre si scorsero e presero a correre disperatamente una verso l’altra, squassate dall’ansia, dalla paura e dal sollievo.

Astrid si tuffò tra le braccia della madre che la prese al volo, la strinse, la avvolse con le braccia, col suo calore, con la voce rotta dal pianto “Non farlo mai più, mai più! Promettilo”

“Sì mamma, scusami, farò la brava”

“Mai più” le sussurrò la madre stringendola ancora una volta “Mi hai fatto morire di paura!”

“Scusa mamma” singhiozzava la ragazzina “Scusami”.

Con gesti spicci la madre le fece indossare la giacca che si era portata dietro “Sei gelata, speriamo che non ti ammali!” poi le diede un bacio e, prendendola per la mano, la trascinò verso casa.

“L’ho trovata, l’ho trovata!” disse poi la madre a voce alta rivolta ad alcune sagome che si aggiravano lungo le strade “Tutto a posto, sta bene!”.

Intorno alle due si affollarono alcuni vicini di casa che si erano mossi alla ricerca della ragazzina, le voci rasserenate. “Ancora grazie, davvero” disse la madre mentre strofinava  la mano della figlia per riscaldarla.

Fu solo quando giunsero quasi sul pianerottolo di casa che Astrid ebbe il coraggio di parlare “Scusa mamma” sussurrò “Non dovevo mangiare il pandoro di Luca”.

La madre, che si era fermata per ascoltare la figlia, scoppiò in una sonora risata: “Luca si è già preso la sua bella sgridata. Ci ha raccontato tutto, a me e papà, e adesso vedrai che ti chiederà scusa. Perché befana non si deve permettere di dirtelo!”

 

di Maddalena Gregori

 

P.S.

Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger su Parole e partecipanti li potete trovare sul blog “Verba Ludica”, al link http://carbonaridellaparola.blogspot.it

16 Risposte a “La befana vien di notte”

  1. Ho letto il testo con interesse immersa in ognuna delle emozioni di Astrid, devo dire che il racconto mi è molto piaciuto ed anche il finale, bello, felice, arioso, da scrollarsi di dosso tutte le paure ammucchiate nelle ore e scaldarsi con la giacca portata da mamma.
    Una storia a lieto fine che va a riequilibrare quei meccanismi che scattano, a volte anche inconsapevolmente, nei confronti dei figli.

    1. Grazie Gabriella per l’attenta lettura. Il lieto fine secondo me va rivalutato: può esprimere una vera e propria “cura” emotiva.

  2. Dinamiche familiari in evoluzione 🙂
    Confesso che anche io temevo un finale da titoli giornalistici, invece no, hai ribaltato il cliché e il tutto ha preso la piega di Cuore. Certo, però, che le bambine, in seguito donne, hanno sempre da combattere per affermare i propri diritti, Astrid ha scoperto da piccola, cosa l’aspetta là fuori! :))
    Amo la tua maniera di scrivere, lo sai.

    1. E di questo si è trattato: un esercizio di scrittura divertita. Nessuna pretesa di offrire chiavi di lettura sociali. Poi mi conosci e sai che mi piace aprire la finestra su brevi epifanie (!) per poi lasciarle rapidamente svanire. Grazie Francesca.

    1. Forse un’aggressione sarebbe stata banale, se consideriamo le abbuffate di orrori e serial killer a cui ci hanno assuefatti con film, serie tv e romanzi horror. Più intrigante, a mio parere, scavare nelle dinamiche che avvelenano i rapporti di una normale famiglia, della vita normale di una normale bambina, e magari ribaltarle con un tocco di buon vecchio Cuore (parlo del libro). Grazie della visita e del commento!

  3. credevo d’aver scritto qualcosa…
    evidentemente son più imbranato del solito
    in qualche modo dicevo della difficoltà di essere
    più grande… SALUTI

  4. essere il o la più grande è un problema che poi ti trascini per sempre, anche se poi ci si fa l’abitudine… E non sempre c’è il lieto fine. Piacere di questo primo incontro …

    1. Kreben, il tuo messaggio è giunto. Forse è lento il sistema ad approvarlo. Ma per tornare al tuo commento, in realtà anche essere il/la più piccolo/a ti rimane appiccicato addosso. Solo situazioni estreme riescono a creare una crepa nei pregiudizi che si formano in famiglia.

  5. Il tuo racconto mi fa venire in mente quelli di mia cognata, la sorella di mio marito, maggiore di sei anni. I loro genitori l’affidavano sempre a lei e rimproveravano lei per ogni cosa, “perché era più grande”, e questo fatto l’aveva sempre vissuto male. In fondo, quando lui aveva quattro o cinque anni, lei ne aveva solo dieci o undici ed era pur sempre una bambina. A volte i genitori non si rendono conto di quanto facciano soffrire i loro figli. Per fortuna, poi capitano situazioni, come quella che descrivi, in cui tutto l’affetto viene fuori, sia quello dei genitori che quello dei fratellini capricciosi.
    Complimenti!

    1. Grazie Kathe, in effetti volevo mettere in luce uno di quei momenti in cui, nella vita di un bambino, una nuova prospettiva si apre al di là di quella, semplice e a volte dolorosa, che di solito si è creata. Emozioni potenti e contrastanti che all’improvviso si compongono in un abbraccio consolatorio.

  6. Ciao, penso di averti letta adesso, per la prima volta. Hai un’ottima capacità descrittiva: ho “vissuto” l’avventura di Astrid dall’inizio burrascoso al lieto fine. A ben rileggerti, Maddalena. :**

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