Occhi da strega

 

All’alba del 1943 Roccapertuso, frazioncina isolata e poco accessibile del comune di Roccasecca, era rimasta praticamente inviolata dalla guerra che stava lacerando il mondo intero. Non che ci fosse molto da violare, e poi, comunque, per poterlo fare bisognava prima arrivarci. Il che non era semplice perché la strada era una sola, malandata, stretta, e in molti punti decisamente pericolosa da percorrere in auto.

Gli unici mezzi di trasporto sicuri erano i piedi, il mulo, al limite la motoretta, ma non quando pioveva o faceva neve, che si rischiava di scivolare giù per la scarpata.

E così gli abitanti di Roccapertuso tendevano a starsene nel loro piccolo borgo arroccato e ben pochi erano gli stranieri che si arrischiavano ad arrivarci.

Santina, nei suoi otto anni, aveva percorso la strada per Roccasecca solo due volte: la prima manco se la ricordava, perché era stato quando i genitori l’avevano portata a conoscere certi parenti dopo il battesimo, e la seconda dopo la comunione, che uno zio aveva voluto portarla a vedere il paese perché adesso era diventata grande. Giusto un anno fa, era successo.

Santina aveva vissuto quel viaggio con lo stupore da bambina che si confaceva alla sua età, ma manteneva soprattutto il ricordo della nausea che l’aveva tormentata per tutto il viaggio di andata e di ritorno, sballonzolata nel sidecar di zio. Al ritorno aveva dormito per due giorni, alzandosi solo per bere i brodini che le preparava mamma e che poi puntualmente vomitava. A farle compagnia c’era Amicio, il suo gatto tigrato.

Quel gatto l’aveva trovato da cucciolo; era sospeso sull’orlo di una delle scarpate che circondavano Roccapertuso e chiedeva aiuto con un miagolio così acuto che lo si sentiva da ogni angolo del borgo. Ma, nonostante la disperazione di quel richiamo, che durava ormai da un paio di ore, solo lei era accorsa a salvarlo. La madre all’inizio le aveva detto di no, che non lo voleva, poi il nonno disse che un gatto in più erano topi in meno, e così al micetto venne offerto alloggio e vitto -scarso però, per mantenerne vivi gli istinti venatori. Santina trascorreva molte ore con il gattino e nel giro di qualche settimana era diventato il suo più caro amico. Aveva perciò deciso di chiamarlo Amico, ma lui, abituato al richiamo “micio” che tutti gli rivolgevano, non rispondeva al nuovo nome, e così lei lo aveva modificato da Amico ad Amicio. E il gatto finalmente accorreva.

Quell’unico viaggio a Roccasecca aveva però lasciato alla bambina anche un’intensa curiosità per ciò che si trovava al di là dei limitati e scomodi confini di Roccapertuso!

Durante la gita lo zio le aveva comprato un regalo che Santina conservava come una reliquia: una conchiglia! Di quelle che, le avevano detto, si potevano trovare passeggiando sulla spiaggia, di quelle che lei aveva visto solo sui libri di scuola.

Era una conchiglia speciale perché qualcuno ci aveva disegnato sopra una croce rossa e all’interno ci aveva scritto Finisterre, e zio le aveva spiegato che era un posto in riva al mare, in una cittadina oltre il quale gli antichi pensavano non ci fosse più nulla. E infatti Finisterre vuole dire “fine della Terra” e per arrivarci si deve camminare per mesi.

Santina aveva pensato che a lei camminare non faceva paura e che voleva arrivarci, un giorno, alla fine della Terra, e di conchiglie ne avrebbe raccolte un sacco pieno, da regalare ad ogni abitante di Roccapertuso! L’aveva anche detto a mamma, che però si era messa a ridere dicendole che erano solo sogni, che Roccapertuso era meglio non lasciarla, che: “Non vedi quel che succede? La guerra è dappertutto, ma a noi qui non ci spara e non ci bombarda nessuno!”

Era vero, la guerra si era sentita solo per la partenza di alcuni giovanotti, tra le lacrime di mamme, mogli e fidanzate. Erano andati a fare la guerra, dicevano le donne quando erano tutte raccolte in cortile a lavorare. Lo dicevano con la faccia triste, qualcuna asciugandosi una lacrima col bordo del grembiule.

Ma oggi, a quanto pare, la guerra giungerà anche a Roccapertuso. Il parroco a messa prima ha detto che arriveranno degli sfollati, gente che proviene addirittura dalla città, dove gli hanno bombardato le case, gente ricca ma che adesso non ha più niente e perciò è poveretta.

A Santina questa cosa dei ricchi poveretti non è molto chiara, perciò se ne sta seduta in pizzo a un muretto all’imbocco del borgo aspettandone l’arrivo: vuole vederli per capire come possono apparire dei ricchi poveretti. Per non aspettare sola si è portata Amicio, che però dopo un po’ si è stufato di stare in braccio, si è divincolato e ha cominciato a scorrazzare lì attorno a caccia di lucertole.

Poi, finalmente, han cominciato a spuntare delle sagome dall’ultima curva prima del paese: prima zio con la sua motoretta a passo d’uomo, col sidecar carico come non mai di pacchi, valigie e fagotti; dopo di lui alcune persone a piedi, un ragazzo con un bimbo piccolo a cavalcioni sulle spalle; per ultimi due ciuchi, che trasportano due donne, una anziana e una gravida. Ma tra di loro una figura attrae Santina sopra ogni cosa: una donna snella, dal portamento eretto nonostante l’evidente fatica che segna i volti di tutti, procede aggrappata al braccio di un uomo. I suoi capelli impolverati lasciano indovinare la luce dell’oro, gli occhi, che sembrano ignorare ciò che la circonda, sono di un azzurro così chiaro che quasi si confonde col cielo.

“Occhi da strega” sente sussurrare alle sue spalle da una voce femminile.

Dietro a Santina, senza che lei se ne rendesse conto, si è raccolta l’intera popolazione di Roccapertuso.

“Occhi da strega” si ritrova a pensare, più affascinata che spaventata, la bambina mentre, con suo estremo sconcerto nota un dettaglio che la fa sobbalzare: il collo della sfollata è cinto da un nastro da cui pendono, come fossero ciondoli preziosi, una conchiglia e una chiave.

Gli sfollati raggiungono lo slargo che sta al centro del borgo e che tutti chiamano pomposamente piazza. Lì il parroco si prodiga a suddividere gli ospiti tra le famiglie residenti, facendo attenzione a mantenere uniti i nuclei familiari e a mandare un numero adeguato di ospiti in base alle dimensioni delle case ospitanti.

Di fronte alla bella sfollata il parroco si sofferma con vaga aria di riprovazione. Non che la donna dimostri poca modestia nel vestire, ma anche coperta di stracci e di polvere la sua bellezza non può essere nascosta. Una breve analisi e il parroco affida la donna alla madre di Santina, vedova e con una figlia femmina: l’unica casa in cui non si corre il rischio che la bellezza della nuova arrivata possa provocare danno o scompiglio.

Santina non sta in sé dalla gioia. Ha mille domande da farle: sul posto da cui viene, su dove ha trovato la conchiglia, su come fa a essere così bella… Con la bocca spalancata la segue mentre mamma offre il braccio alla donna guidandola alla loro misera abitazione.

La loro casa è davvero piccola: oltre alla cucina, al cui centro si trova il caminetto, c’è una camera sola. Perciò, per offrire alla donna un po’ di intimità, in un angolo della cucina è stata appesa una tenda che nasconde un lettino, una sedia e una piccola cassapanca.

Mamma entra in casa e conduce la donna all’angolo approntato per lei, le spiega che la ritirata è all’esterno, di fianco alla minuscola stalla che ospita le loro poche capre, e che per lavarsi c’è il catino che sta in camera da letto, a cui lei può accedere liberamente quando ne ha bisogno. Altrimenti può usare l’acquaio di cucina.

Mentre parlano si sente il clacson di zio che sta facendo il giro del borgo per consegnare i bagagli agli sfollati. Mamma esce e zio le porge una valigina di cartone e un cofanetto di legno tutto decorato da graziosi intarsi. Un oggetto così bello non si è mai visto a Roccapertuso!! Santina vorrebbe toccarlo, accarezzarne la superficie liscia e lustra, aprirlo per scoprire cosa contiene! Se la donna è una strega potrebbe contenere una pozione. Magari la sua bellezza deriva da un filtro magico!

Ma la mamma sistema subito i bagagli della donna nella cassapanca dietro alla tenda, mentre la sfollata, col volto sfatto dalla stanchezza, se ne sta seduta su una sedia ad occhi chiusi. Stregata, Santina sta in piedi di fronte a lei con la bocca spalancata.

“Vieni via!” le sussurra la mamma facendole segno di andare fuori.

“Che c’è?!” esclama la donna spalancando di colpo gli occhi colore del cielo.

“No, niente” interviene mamma spingendo Santina dalle spalle per allontanarla “Dicevo a mia figlia, che vi sta sempre tra i piedi”

“Oh,” esclama dolcemente la donna con un sorriso “i bambini sono sempre graditi”.

“Voi ne avete?” chiede mamma.

“No” risponde con un sussurro la donna. “Non più” aggiunge chinando il capo e scoppiando a piangere sommessamente. “Non ho più nessuno, ormai. Nessuno” conclude singhiozzando “Le bombe mi hanno rubato tutto!”

La mamma di Santina corre a sedersi di fianco alla donna e, tenendole le mani, cerca di consolarla: “Ora siete qui, siete al sicuro” le sussurra con voce rotta. Anche a lei la vita ha rubato il marito. È successo prima della guerra, un incidente mentre trasportava a Roccasecca i loro formaggi per venderli al mercato. Il ciuco era scivolato lungo la strada e lui, sciocco, aveva cercato di afferrarlo per salvare bestia e carico. Ed erano volati tutti giù per la scarpata. Neanche il corpo erano riusciti a recuperare, neanche un corpo su cui piangere aveva avuto.

E così la mamma di Santina comincia a singhiozzare, abbracciata a quella sconosciuta a cui la accomuna un identico destino crudele.

Santina, spaventata da tutta quella tristezza, si allontana ed esce alla ricerca del suo gatto. Quando rientra è ormai quasi il crepuscolo. Stranamente non ha sentito il richiamo di mamma per la cena e dentro casa la lampada a petrolio è spenta. Va in camera da letto e scorge la sagoma di mamma che dorme, accoccolata su un fianco.

Torna in cucina e sbircia dietro la tenda: anche la loro ospite dorme. Sulla sedia giace il nastro con la chiave e la conchiglia.

Turbata, la bambina rimane in piedi in mezzo alla cucina cercando di capire cosa deve fare. Non le è mai successo che mamma dormisse di pomeriggio e men che meno che non preparasse la cena. E lei ha fame!

La penombra sta gradualmente invadendo la stanza e un pensiero si fa lentamente strada nella sua mente: le due donne dormono e il cofanetto magico sta nella cassapanca al di là della tenda. La tentazione è troppo grande!

Così Santina va dietro alla tenda e, tenendo d’occhio la donna che dorme poco distante,  apre la cassapanca e silenziosamente tira fuori il cofanetto. Ma è chiuso. Alla sua mente si presenta subito l’immagine della chiave.

Con cautela si avvicina alla dormiente e afferra la chiave posata lì vicino. Non riesce a credere alla propria audacia! Ma la curiosità è troppa: vuole vedere cosa contiene il cofanetto, vuole vedere se davvero c’è la pozione per diventare bella come lei.

Prudentemente gira la chiave nella serratura, un clic amplificato dal silenzio della casa ne annuncia l’apertura e Santina solleva il coperchio.

“Chi è? Chi c’è?!” la donna si è svegliata e con angoscia fissa il suo sguardo luminoso intorno a sé, girando il capo a scatti.

Santina rimane immobile senza capire: come può non vederla? Eppure non è così buio!

“Che fai qui?!” la voce di sua madre la fa trasalire. Santina si gira e capisce all’istante di essere nei guai. Il ceffone la colpisce rapido come un fulmine facendole mollare il cofanetto, che cade a terra rompendosi.

La straniera preoccupata si mette a sedere sul bordo della branda, muovendo lo sguardo in giro con aria terrorizzata. E finalmente Santina capisce: la donna è cieca, quegli occhi così luminosi non vedono alcuna luce.

D’un colpo il suo mondo di bambina cade in frantumi, come il cofanetto vuoto che giace a pezzi ai suoi piedi. Nessuna bella strega, nessuna pozione magica, nessun mondo lontano da esplorare, ma solo la guerra, il dolore, la morte, la perdita.

E ora tocca a Santina scoppiare in lacrime, disperata, con i suoi singulti di bambina che ha perso d’un colpo la magia dell’infanzia.

 

di Maddalena Gregori

4 Risposte a “Occhi da strega”

  1. Scenario truce, nonostante i toni da fiaba moderna. Tuttavia in quel ceffone che fa scomparire il mondo dell’infanzia, con la scoperta delle brutture della vita, io ci vedo una possiblità di inizio governato dall’innocenza degli occhi della “strega”.

    1. Possono degli occhi di strega essere innocenti? Può la consapevolezza unirsi all’innocenza?
      E poi è un gioco… e tu non vuoi giocare, Perla?

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