Oltre il confine

Padre profugo protegge il figlio – di Sergey Ponomarev

 

Io qua – tu là –

oltre il confine che dicono

civile – io qua dove ci sono

le ragioni – le uniche –

su cui poggia il mondo intero

– tu là – pioniere della notte

da attraversare nel terrore

tra scoppi e lampi e sangue e morte

e tutto ciò che nel mio mondo

– lontano e caldo – sereno e calmo  –

non è dato di capire. Perché

– ormai mi è chiaro –

capisce solo chi la notte

sulla propria pelle vive.

 

di Maddalena Gregori

 

Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger, su parole scelte a turno dai partecipanti, organizzato su Verba Ludica. https://carbonaridellaparola.blogspot.it/?zx=b0a95a4dd572a8f4

Questa volta per il gioco ho partorito tre “creature”, prima il racconto e poi, su suggerimento di Carmela, due poesie. Questa è la prima.

7 Risposte a “Oltre il confine”

  1. Innanzitutto complimenti!
    Oltre che prolifica (ben due poesie! …per non dire del racconto) questo componimento scorre fluido come se le parole si auto scrivessero. Sei stata davvero ispirata, vedo e sento.
    Ricordo quelle vicende del 2015 (cui la foto fa riferimento), condannate dagli organi internazionali ma indelebile vergogna per tutta l’Europa. Il discorso è molto complesso e non si può eusarire in quattro righe nei commenti. Servirebbero contesti di volontà e coscienza collettiva fatti di scuole, conferenze, piazze e strade. Bisognerebbe che iniziassimo ad affrontare il nostro essere al mondo “diversi” seriamente, com-prendere le migrazioni nei processi di globalizzazione e non godere solo della “globalizzazione” come viaggio virtuale in una rete di terminali tecnologici. Forse, e dico forse, anche questo mezzo globale che stiamo usando è diventato il paravento della nostra ignavia, ignoranza, ottusità, perdita di valori, indifferenza alle nostre stesse radici prima ancora che a quelle degli, altri, assenza di confronto vero. È un mezzo tossico, nonostante le gloriose premesse. Tutti pronti a commuoverci ed indignarci mentre ignoriamo quello per cui versiamo le nostre lacrime di ipocrisia.

    1. Bentornata Carmela. E grazie del tuo commento. L’evento a cui la poesia fa riferimento è un episodio che vissi in Cambogia, quando una notte esplose una santabarbara in città e io ebbi modo di confrontare le mie reazioni calme e razionali (inizialmente si credeva fosse un attacco di un gruppo di Khmer rossi, anche se ormai da anni non se ne vedevano) e quelle scomposte e terrorizzate di chi, per 20 anni aveva convissuto con la guerra e la guerriglia. E quell’evento è per me un caposaldo, con cui mi confronto ogni volta che vengo a conoscenza di episodi di guerra con civili coinvolti. Mi sanguina il cuore e, scioccamente forse, mi sento in colpa. Anche se so che non è colpa mia se io ho la fortuna di vivere in questa parte del mondo, quella “civile”

  2. Perché quella immagine terribile? Nulla aggiunge alle parole. Le immagini di dolore non aggiungono mai nulla. Forse servono a esorcizzare, non so. A me personalmente fanno solo male; un male che da molti anni mi risparmio nella coscienza che non mi rende migliore.

    1. Sai Manuela, non ritengo terribile l’immagine, se l’immagine mostra un orrore esistente.
      Certo, siamo diversi, e per esperienza e per natura preferisco non distogliere mai lo sguardo dalla sofferenza altrui. L’ho imparato in India attraverso vari episodi che ho vissuto in prima persona e che mi hanno insegnato che la consapevolezza di ciò che accade è importante per distinguere e capire, e intervenire. Sicuramente non solo per banalmente esorcizzare semplici sensi di colpa per interposta persona.
      Ma mi rendo conto che siamo diversi e ciò che per me è importante per altri può essere troppo. E lo rispetto.
      A me serviva l’immagine per rimarcare che la notte di cui parlavo è quella della guerra. Grazie

  3. Molto bella, Mad, molto bella questa poesia.
    Qui la notte è un archetipo, è una condizione mentale, è un campo sperimentale dove non contano sesso, età e differenze oggettive, ma solo differenze emozionali.
    E l’essere umano, si sa, è il prodotto di emozioni acquisite nel tempo coniugate con la propria conoscenza, capacità di leggersi e leggere il mondo circostante, in un viaggio che non ha mai fine.

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