Un posto sicuro

 

Banksy, Bambina e palloncino

Quella mattina Alma si era alzata dal letto con un sasso nello stomaco. Una notte agitata: si era svegliata infinite volte, nel corso della nottata, e verso le quattro aveva dovuto persino fare un po’ di meditazione, per poter riprendere il sonno. Era così tesa che si era destata dieci minuti prima che la sveglia suonasse.

Fastidio, sì, provava un certo fastidio all’idea di dover dedicare quel sabato, quella giornata di riposo, a un convegno. Ma ormai si era iscritta e poi, forse, sarebbe stato meglio così…

Si fece un caffè, chiedendosi se non fosse il caso di fare colazione, per affrontare la giornata. No, non se la sentiva. Un sasso nello stomaco.

Il lungo tragitto vero la città scivolò sotto ai suoi occhi rivelandole le bellezze dell’autunno incipiente. Era felice di vivere in un posto tanto bello e, ogni volta che le capitava, si sforzava di prestare attenzione a tutta quella bellezza. L’abitudine, si sa, è la peggior nemica della bellezza. La copre, la sfibra, la fa svanire. E perciò bisogna stare in guardia e cercare, sforzarsi di essere sempre presenti a se stessi, per poter godere dello splendore che ci circonda. Lo scopriamo quando rischiamo di perdere tutto. Lo scoprono i moribondi, che all’improvviso vedono brillare il mondo sotto i loro occhi, proprio quando lo devono lasciare.

E così, fedele ai suoi propositi, quella mattina Alma cercò di essere presente a se stessa, di non farsi sfuggire neppure un raggio di sole, o un fremere di foglia, o uno solo dei baluginìi che animavano le onde nervose che percorrevano come brividi la superficie mare. Un mare che placido la affiancò per tutto il percorso fino alla città. Era una bella giornata di ottobre, tiepida e luminosa, e lei faceva quasi fatica ad accettare che fosse tanto meravigliosa.

Arrivata in città si diresse verso un nuovo parcheggio in periferia. Un’amica le aveva detto che era vantaggioso e comodo, e lei quella mattina non aveva proprio voglia di ammattirsi a cercare parcheggio in centro.

Entrò nel passaggio ma non riusciva a capire come funzionasse. Un’auto dietro di lei le fece gli abbaglianti e così Alma fece retromarcia e, abbassando il finestrino, chiese alla donna che stava al volante: “Non so come si fa: mi fa vedere lei?”

Quella sorrise, annuì e le fece segno di seguirla. Si affiancò al distributore di biglietti, premette il pulsante rosso, afferrò il biglietto e la sbarra si alzò. Alma seguì la sua momentanea maestra e parcheggiò a fianco della sua auto. Aveva bisogno di altre informazioni: “Come si paga poi?”

L’altra donna, per niente disturbata, le spiegò tutto. Al di fuori del parcheggio c’era un ufficio dove ci si doveva recare a pagare prima di lasciare il parcheggio, il biglietto avrebbe comprovato i giorni di sosta. Il prezzo per il parcheggio giornaliero era risibile e inoltre il biglietto fungeva anche da documento di viaggio per gli autobus verso e dal centro.

A conti fatti, lei non spendeva nulla. Doveva solo fare attenzione a non perdere il biglietto, pensò.

Si sentì assurdamente felice per quelle piccole soddisfazioni e quella sensazione di pienezza l’aiutò a scacciare la consapevolezza di quel sasso che le premeva sullo stomaco. Chiacchierò con la gentile signora, che le indicò persino a quale fermata scendere, e poi si avviò a passo lesto verso il luogo in cui si teneva il convegno: una splendida sala gotica, affrescata con dipinti barocchi. Uno dei gioielli della città difficilmente visitabili se non in occasioni come quella.

La solita trafila: la firma d’ingresso, la consegna del materiale per il convegno, i saluti ai colleghi che non vedeva da tempo, strette di mano, sorrisi, un po’ di pubbliche relazioni… Rituffarsi in quella realtà così distante la fece sentire bene.

Sedette alla fine di una fila, pronta alla fuga (detestava i sedili centrali, la facevano sentire in trappola). E attaccò bottone con un uomo che aveva già notato, alto, prestante, dal sorriso caldo e un po’ malandrino. Era un collega, mai conosciuto, e Alma colse l’occasione per presentarsi, per scambiare un paio di opinioni sul tema del convegno.

Tutto procedeva bene, tutto sommato. Solo un sospiro un po’ più profondo del solito tradì il sottile velo di angoscia che aleggiava su di lei, quel sasso a cui lei non voleva dare un nome, a cui ancora non riusciva a dare voce.

Fin dalla sera prima la sua mente fuggiva alla consapevolezza rifugiandosi negli angoli più nascosti, cercando la fuga tra gli spazi vuoti che rimangono tra un’azione e l’altra come un topo di laboratorio cerca di evitare le torture a cui viene sottoposto cercando disperatamente un passaggio tra una sbarra e l’altra della gabbia. Ma non c’era via di fuga: quel sasso, quel dolore, non le lasciava scampo. Era lì, presente dietro ogni suo sorriso, dietro ogni sua battuta… E per quanto la mente cercasse di sfuggirgli, il cuore la incalzava, non le dava requie.

Il cuore e la sua ferita. L’incubo ricorrente dell’abbandono, del rifiuto, del disamore.

Mentre nelle sue orecchie rotolavano senza trovare appiglio le parole vuote dei discorsi di benvenuto di inizio convegno, si permise finalmente di fermarsi su quel sasso liscio e pesante che col suo peso lacerava la fragile rete dei suoi pensieri: quel messaggio, quel breve scambio di messaggi via email, che la sera prima aveva segnato la fine della sua recente storia d’amore.

Parlare di Amore con la A maiuscola era troppo, per quella storia nata solo da pochi mesi; ma di sicuro un sogno di amore futuro lo era stato, un primo passo verso la costruzione di una nuova vita che da così tanto tempo attendeva.

Se guardava dietro di sé, ogni anno trascorso, ogni incontro fallito era stato una lezione per prepararsi a questo suo essere pronta. Pronta al passo, pronta a finalmente avviarsi con una nuova consapevolezza verso una completezza affettiva.

Verso un rapporto dove non fosse necessario chiedere all’altro di darle ciò che le mancava, ma dove sarebbe bastato costruire uno spazio comune, un punto di incontro e contatto, perché un futuro ancora da definire potesse prendere posto.

La sua visione interiore era così adamantina che non aveva saputo vedere la direzione presa invece da lui. Ne aveva avuto sentore, quel suo negarsi, quel suo incomprensibile risparmiarsi. Un atteggiamento così poco corrispondente a quello che per lei era invece così chiaro.

Come aveva fatto a sbagliare così, a essere così cieca? Non si poteva nemmeno imputare la sua miopia all’amore, visto che non poteva dirsi “innamorata” di lui…

Ma cos’è l’amore, e soprattutto come si misura?

Conoscerlo, frequentarlo, le aveva dato indubbiamente momenti di felicità, ma si era sempre tenuta un po’ in disparte, distaccata da questi sentimenti per cercare di mantenere la visione chiara, per non fare gli errori che tante altre volte aveva fatto nelle relazioni precedenti. Tutte quelle volte che si era fatta accecare dalla felicità, distrarre dal battito forsennato del suo cuore.

“… perciò non indulgo oltre e passo la parola al professor…”

Basta, questo intervento le interessava. Di nuovo spostò il pensiero ossessivo del dolore nello stomaco, sotto forma di sasso, e si concentrò sul convegno e su ciò che quella giornata poteva offrirle.

Grazie al cielo era un convegno interessante, argomenti essenziali per il suo lavoro. Questo le permise di galleggiare da un intervento all’altro, tra un appunto e un commento col collega vicino. Bell’uomo, si trovò a pensare più volte, bel sorriso. Chissà… L’occhio si posò sulla mano di lui: una fede brillava sull’anulare sinistro… peccato!

Un pensiero improvviso, incontrollato e idiota…! Chissà, si trovò a considerare, forse un tentativo di fuga, per evitare il dolore che se ne stava rintanato nell’angolo del suo cuore, nel mezzo del suo stomaco.

Tre interventi e un breve dibattito dopo giunse la pausa per il pranzo. Era un convegno povero e nessun buffet era previsto. Le toccava uscire, cercare un posto, mangiare qualcosa. Gironzolò per qualche minuto tra i gruppetti di colleghi che si andavano formando, ma se da un lato sperava di potersi aggregare a uno di loro, per continuare il gioco malato della distrazione, dall’altro sentiva l’esigenza di star sola, per poter dare sfogo a quella pressione interna che sembrava essere sul punto di soffocarla. Sembrava che tutti si fossero messi d’accordo per ignorarla, si sentiva trasparente e non sentiva in sé la forza necessaria a fare un sorriso, intrufolarsi, aggregarsi. Perciò, con l’aria di chi sapeva esattamente dove doveva andare, si avviò lungo la via e imboccò una minuscola traversa, in direzione del centro.

Passò davanti a un paio di ristorantini, un kebab, un take away cinese… alla fine optò per un ristorantino che presentava, nel menù, delle insalatone. Nonostante la colazione saltata e i capogiri, non aveva fame. Lo stomaco era sempre occupato da quel sasso. Tuttavia conosceva il suo corpo e non intendeva andare incontro a un mal di testa lancinante, che sempre arrivava quando digiunava.

Il ristorantino era zeppo di gente e il cameriere la accompagnò nell’ultima saletta e le indicò un tavolino minuscolo proprio davanti al bagno.

Con un sospiro si sedette e chiese delle insalatone disponibili: “Son tutte terminate, signora, tranne quella con acciughe, sgombro, uova sode e mozzarella”. Poker di proteine, le venne da pensare. Un lieve moto di nausea…

“No, allora tagliolini al tonno” disse indicando il primo piatto semplice che le parve di adocchiare, in quel menù carico di risotti, pastasciutte elaborate, baccalà in varie fogge, brasati e cibi complessi.

Al tavolo accanto al suo sedevano una giovane donna e due uomini di una cinquantina d’anni. Erano colleghi di lavoro, commentavano vivacemente un progetto che due di loro avevano presentato insieme quella mattina. Il terzo offriva opinioni e commenti.

Si scoprì a invidiare la loro energia, lo slancio con cui si raccontavano ciò che era accaduto, le soluzioni possibili di fronte alle eventuali opportunità che si fossero presentate…

Si sentì improvvisamente orfana… orfana del progetto che lui aveva incarnato per un po’ nella sua vita. Quel che le mancava era proprio questo: un bersaglio chiaro a cui, finalmente, poter puntare, verso cui focalizzare le sue energie. Da troppo tempo si sentiva come una barca senza timone, senza una direzione, e lui, negli ultimi mesi, aveva offerto alla sua straripante energia un canale, uno spazio, un progetto in cui convogliare sogni, idee, propositi, valori…

Ora il suo progetto d’amore era semplicemente svanito e si sentiva spersa, senza più una direzione chiara.

Arrivò il piatto di tagliolini… un orrore. Praticamente pasta su cui era stata aperta una scatoletta di tonno scadente. Nemmeno da studentessa universitaria le era capitato di mangiare così male. Ingollò a fatica alcune forchettate, lasciando nel piatto quel tonno sbriciolato dal sapore metallico. Infastidita dall’odore del piatto si alzò e si avviò velocemente alla cassa.

Aveva intenzione di farsi una bella passeggiata in centro: da mesi non veniva in città e le andava di fare due passi. Aveva ancora più di tre quarti d’ora a disposizione.

Di viuzza in viuzza si diresse verso il corso. Tutti i negozi erano chiusi, persino le librerie. Non c’era nulla di visitabile. Decise perciò di farsi un passeggiata aerobica, e a passo lesto percorse il corso, osservando rapidamente le vetrine, soffermandosi giusto sul dettaglio di alcune gioiellerie… sognare le era sempre piaciuto!

Malediceva quella città così provinciale, dai negozi chiusi all’ora di pranzo, persino di sabato, e che non le permetteva di distrarsi. Si concentrò quindi sulle poche persone che incrociava per via. Molti nordafricani o asiatici, intenti a smontare le bancarelle del mercato colme di cose tutte uguali. Qualche badante di mezza età in libera uscita, con occhi azzurri e capelli biondi che ne tradivano le origini balcaniche. Un folle che se ne stava nell’angolo di una piazzetta, aspettando che qualcuno incrociasse il suo sguardo per poterlo investire di improperi.

Alma lasciava che ognuna di queste immagini le scorresse davanti agli occhi, senza cercare di trattenerle. Così avrebbe voluto che fosse la sua vita, quel giorno, rapida a scorrere, a svanire, come un’onda che arriva piena di sé, turgida, tracotante, per poi disfarsi e svanire nella risacca. Così avrebbe voluto che accadesse a quella giornata nera e dolente. Alla fine del corso si apriva immensa la piazza centrale, dedicata a un eroe del risorgimento. Un vento tiepido e rasserenante la percorreva con improvvise folate che sollevavano foglie e polvere per poi posarsi poco più in là, in brevi saltelli.

In fondo alla piazza c’erano certe bancarelle di libri usati, chiuse anche quelle, e i capolinea degli autobus diretti verso fuori città. Doveva essere tardi, ormai… guardò il cellulare: mancava meno di mezz’ora alla ripresa dei lavori, perciò si decise a tornare sui suoi passi. Lungo la strada scorse un tavolo con tre giovani seduti davanti, sul cartello venivano proposte letture esplicative della Bibbia. Poco più in là una bancarella, dove si fermò per acquistare un paio di occhiali da sole che le coprissero il viso devastato dal sonno e dai pensieri.

Lungo il corso decise di fermarsi a una famosa torrefazione, per un caffè. Ne aveva proprio bisogno! Pagò la cassiera distratta, ottenne l’ondivaga l’attenzione di un barista distratto, e in qualche strano modo si sentì sollevata dal fatto che poteva sopravvivere a tutta quella indifferenza.

Tornata in strada un canto a piena gola la sorprese. Giungeva da una viuzza sulla sinistra. Da destra sbucò un uomo che, rivolto verso quel canto, esclamò: “Brava! Brava! Canta tu!”

Le parve una scena divertente, sorrise. Ma le ci volle poco per capire che ciò a cui assisteva non era una divertente scenetta ma il preludio di una rissa.

La donna che cantava era una barbona, rivestita di stracci e dai capelli scarmigliati. Continuava a cantare, e cantando prendeva in giro il suo interlocutore, che nel frattempo era passato dal tono leggero iniziale a una serie di insulti pesanti. Alma affrettò il passo e mise mano alla borsa, per vedere che ore fossero. Ma nell’afferrare il cellulare notò qualcosa… una mancanza. Il biglietto del parcheggio!

Il biglietto non c’era più!

Ricordava con chiarezza di averlo messo lì, nella taschina del cellulare, proprio per poterlo tenere sotto controllo! Ricordava di averlo tastato più volte, durante il convegno, ogni volta che afferrava il cellulare per controllare l’ora.

Quando, quando aveva estratto il cellulare? Quando poteva aver perso quel biglietto?

Col cuore in tumulto si fermò in mezzo al corso. Cercò di far mente locale: dove aveva estratto il cellulare?

Al ristorante, ma lì ricordava di aver visto il biglietto, di averlo tastato. Magari nel riporre il telefono: ma non aveva senso!

Poi aveva fatto la passeggiata, senza badare all’ora… L’aveva consultato alla fine della piazza, ai capolinea degli autobus… ricordava il punto esatto in cui aveva estratto il cellulare, ma non la pressione del biglietto sotto i suoi polpastrelli. Ma alla torrefazione lo aveva guardato o no? No, c’era un orologio sopra il bancone del bar…

Col cuore in tumulto prese a risalire rapidamente lungo il corso. Cosa sarebbe successo se si fosse presentata al parcheggio senza il biglietto? Quale penale le avrebbero applicato? La sua mente frullava a destra e a sinistra. Si scoprì a pregare qualcosa, o forse qualcuno: “Ti prego, ti prego, fammelo ritrovare. Ti prego!”

Arrancava col respiro corto tenendo lo sguardo fisso a terra, ripercorrendo i propri passi. Ora le folate di vento caldo che accarezzavano la piazza le apparivano come nemiche: se anche il biglietto fosse caduto a terra, chissà quel vento dove avrebbe potuto spingerlo. Con stupore notò quanto pulita fosse quella piazza, dove non una carta, non un brandello di alcunché deturpava l’uniforme eleganza dell’acciottolato.

E se il biglietto fosse caduto proprio davanti ai capolinea, quante probabilità c’erano che nessuno l’avesse raccolto per utilizzarlo per un viaggio gratuito? Dopotutto era pur sempre un documento di viaggio!

Annaspando e col fiato corto, passò di fronte alle bancarelle, agli esplicatori biblici, all’imponente statua dell’eroe risorgimentale, con lo sguardo che abbracciava tutta l’immensa estensione della piazza. Là in fondo gli autobus.

“Ti prego, ti prego! Fammelo trovare e giuro che…” Cosa? Cosa poteva promettere lei in cambio? Quale appetibile merce di scambio aveva da proporre all’ignoto salvatore?

Poi, da distante, scorse un biglietto bianco. Cercò di affrettare ancora di più il passo, ma più si avvicinava più quello era chiaramente un altro biglietto, pieno di scritte rosse, mentre il suo aveva scritte nere, lo ricordava bene!

Non era lui. Rimase lì, ritta in piedi davanti a quel pezzetto di carta ingannatore, che le aveva dato una speranza per poi strappargliela da sotto il naso. Non era lui!!

Decise tuttavia di raccoglierlo e vedere di cosa si trattava, se lo rigirò tra le mani e, sull’altro lato, il biglietto mostrò una sequela di scritte nere, tra cui l’indirizzo del parcheggio, la data e l’ora di ingresso… Era lui!

Un infinito senso di gratitudine le esplose in cuore! All’improvviso qualcosa si sciolse dentro di lei, un sorriso immenso le invase il viso. Lesse e rilesse il biglietto, quasi a voler essere assolutamente certa che fosse lui… il vento non l’aveva spinto lontano, nessuno lo aveva raccolto per utilizzarlo, lei era stata capace di essere sufficientemente presente a se stessa da ricordare dove aveva estratto il telefono dalla maledetta taschina e risolvere quella crisi.

Tutto le apparve improvvisamente chiaro. Lei c’era ancora, la sua vita non era andata in frantumi sotto i colpi crudeli di quella email. Un progetto era svanito, ma tutto il resto, tutto quello che negli anni aveva costruito era rimasto. Aveva ancora molte cose da fare e in cui convogliare la sua energia. Non ultimo l’amore, con qualcun altro, molto probabilmente. La strada non era chiusa, semplicemente, doveva trovare il modo per raggiungere ciò che era giusto per lei, cambiando leggermente direzione, costruendo un nuovo progetto. Il bersaglio non era cambiato, solo che non era lui. Il bersaglio era poter dare uno sbocco concreto e giusto alla sua capacità di amare e di accogliere l’amore.

Prese il biglietto e lo infilò nel portafogli, poi nascose il portafogli nella tasca posteriore della borsa. Che sciocca era stata a mettere quel prezioso biglietto nella taschina del cellulare, accanto a qualcosa che si estrae in continuazione, col rischio di far cadere il biglietto! Avrebbe fin da subito dovuto metterlo dove meno probabili erano le occasioni di perderlo. A che serve tenere qualcosa sotto controllo? Non c’è nulla che possa essere governato, nella nostra vita, ed è proprio la nostra mania di dominare l’esistenza che può provocare persino più occasioni di perdita.

A passo leggero e rapido si diresse verso la sede del convegno. Era leggermente in ritardo, ma non importava: tanto, si sa, ai convegni non cominciano mai in orario.

 

di Maddalena Gregori

9 Risposte a “Un posto sicuro”

  1. Quei tagliolini al tonno, mi par di sentirne il sapore, ferro e mercurio…
    Per fortuna c’è il caffè con torrefazione, un odore avvolgente e caldo, non in tutte le città se ne trova uno. Se però quasi non ti vedono…
    No, il biglietto no, che palle!
    Ah, beh, ritrovato, bene, mai perdere la testa, riflettiamo e ricapitoliamo, il modo si trova, magari non subito, ma ci riusciremo.

  2. In questo caso salterei la negazione con le capriole. Sarei così tanto sopraffatta dalla rabbia di tale meschinità che la negazione andrebbe a farsi benedire. Dura da digerire per la fiducia riposta nella persona sbagliata, la vigliaccheria merita commiserazione e disprezzo. Il disprezzo aiuta a lenire, separando il codardo dal proprio valore. Non confondiamo i cenci con la lana, sciò! Bacetti

  3. Su sofferenza e paura di soffrire: quando soffro sto male ma lucida e stranamente calma (parliamo di amore nello specifico) , sembra un controsenso ma è così. Quando ho paura di soffrire, cerco di bloccare il dolore, mi agito, sclero, mi prende l’ansia. Soffro al triplo. Io le distinguo così. Scusa la sintesi e perdona la scrittura da smartphone.

    1. Vero, per superare il dolore l’unico modo è entrarci e attraversarlo. D’altro canto il dolore causato da una perdita è un lutto, e come ogni lutto attraversa necessariamente delle fasi. E la prima è la negazione. Poi la rabbia. Poi il dolore inconsolabile e il senso di colpa. Solo alla fine arriva l’accettazione. E la nostra Alma è ancora alla prima fase. L’ha saputo la sera prima e attraverso i mezzi disumani della comunicazione digitale. Non a caso ho voluto parlare di email: purtroppo, di questi tempi, l’uso di SMS, email, messaggi su WhatsApp offrono facili paraventi che evitano a chi lascia di affrontare il dolore o il disappunto dell’altro. Atti di vera codardia che rendono ancora più amara la perdita, perché si viene privati della possibilità di sostenere le proprie ragioni. Si resta soli davanti a uno schermo.

  4. Provo a risponderti dal telefono, vediamo se funziona. Per esperienza, se soffri scorri, se blocchi la sofferenza evitando di darle spazio, resti impantanato. Provato sulla mia pelle. A volte, la filosofia diventa una pratica (necessaria e salvifica) dell’agire. Disciplina la volontà e serve a sopravvivere (prima ancora che a vivere) finché passa il dolore. In quanto alle distrazioni, se belle e sane come una conferenza o l’immergersi nella natura, o ancora, fantasticare su un collega attraente, sono niente altro che salute mentale. Diverso il rinchiudersi a rimuginare i perché, come e quando del dolore. Mi pare che Alma sia ben centrata, e in ottima compagnia di milioni di anime, passate, presenti e future, col suo stesso dolore. Magra consolazione, lo so, ma non sentirsi soli è una grande cosa.

  5. Mi imbarazza ripetermi perché so che imbarazzo te ma devo dirlo: racconto meraviglioso, letto con ingordigia. Ingordigia di vita! È vero, non c’è nulla che possa restare sotto controllo, nemmeno la paura del dolore. Perché quel sasso, per come l’ho inteso io, più che emblema di sofferenza, è paura di soffrire. Come la mania di controllare il biglietto si rivela paura di perdere, di perdersi. Centrati su se stessi, nel bagaglio di chi siamo costruito nella memoria, bisogna lasciar andare. Che la fluisca con i suoi contrasti: gioia e dolore, attraversatemi! Panta rei, tutto scorre e muta. Esistere è trasformare. Esistere è alchimia dell’amore, prima ancora che per/con gli altri, per se stessi.

    1. Tutto vero: restare aggrappati ai propri progetti, con l’illusione di poterli controllare, è sicuramente la radice del dolore. Tuttavia mi chiedo se sia davvero possibile distinguere sofferenza e paura di soffrire. Alma ne ha ben donde di soffrire, sta vivendo una perdita reale, e che ne tema gli effetti (da cui cerca di fuggire con la distrazione) o che faccia fatica a lasciare andare e ad accettare la perdita tutto sommato è umano! Povera Alma, in fondo è solo una donna che soffre per un amore perduto, non una filosofa!

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