Zanzare – II

(continua)

Posata la cornetta a Pigliapoco prese lo sconforto: ora  sarebbe dovuto andare dai familiari del morto, per fare qualche domanda. Doveva cercare di capire dove fosse stato la sera prima l’ucciso, se avesse l’abitudine di frequentare certe compagnie, se faceva uso di sostanze illegali, se aveva un’amante, o un amante…

Si alzò afferrando il berretto. “Commissario!” una voce femminile lo fece trasalire. Dalla porta del suo ufficio faceva capolino l’agente Marina … Marina cosa? Una nuova, appena arrivata, e lui non riusciva a ricordarne il cognome.

“Dica” tagliò corto Pigliapoco, che aveva fretta di uscire e svolgere quelle faticose indagini.

“Io stanotte ero di turno…” esordì la giovane agente

“E che ci fa ancora qui? Vada a casa, no?” e così dicendo la spinse un po’ da parte per poter attraversare la soglia e uscire.

“Commissario, ma io credo ci sia una cosa importante… forse collegata a quell’uomo trovato morto” replicò testarda la giovane donna.

Con un sospiro di esasperazione il commissario si girò verso la ragazza. Due occhioni bruni, segnati dalla notte insonne, lo fissavano coraggiosi. “Stanotte, sarà stato verso le due e mezza o le tre, ho ricevuto una chiamata strana: l’autista di un’ambulanza mi chiedeva se sapevo di qualche incidente perché lui aveva ricevuto una chiamata, ma arrivato sul posto non aveva trovato nessuno. Nessun ferito e nessun testimone. Nessuno!”

“E in che modo la cosa sarebbe connessa con l’assassinato del Ponte vecchio?” chiese il commissario, a cui però la cosa cominciava effettivamente a interessare.

“L’autista mi ha detto che chi lo aveva chiamato parlava di uno che era caduto con lo scooter andando a sbattere contro un guard-rail e che perdeva sangue. Era convinto, l’autista, che tornato all’ospedale avrebbe trovato il ferito al pronto soccorso, invece non ci ha trovato nessuno”

“E dov’è che è successo tutto questo bordello?” chiese incuriosito Pigliapoco.

“Dice che era vicino alla balera Mirage, sa quella dove fanno il liscio?”

“Sì, ho presente… magari andiamo a dare un’occhiata” concluse il commissario “Ah, e grazie… Marina…?”

“Gigli, agente Marina Gigli, signore” rispose lei.

“Grazie, Gigli, ben fatto!”

Ciò detto Pigliapoco scese rapidamente le scale ma all’ingresso si trovò davanti il centralinista: “Commissario! Senta, prima era al telefono e non sono riuscito a passarle quel tizio… era caduta la linea e ha richiamato. Mi ha raccontato una strana storia!”

“Non c’entrerà la balera Mirage, mi auguro!”

Il centralinista si bloccò a bocca spalancata: “In effetti…” aggiunse dopo un breve momento “Il tizio ha detto che era uscito dalla balera e verso le due di notte ha visto uno scooterista uscire di strada e cadere malamente. Alcuni si sono avvicinati e hanno chiamato un’ambulanza, ma quello dello scooter è rimontato in sella ed è ripartito. Allora lui, quello che ha chiamato, lo ha inseguito in auto per vedere se stava bene… ma dopo un po’ l’ha lasciato andare. Dice che lo scooterista perdeva sangue e aveva la maglietta sporca”

Il commissario Pigliapoco rimase un attimo a raccogliere le idee, stretto tra gli sguardi attenti e tesi del centralinista e dell’agente Gigli, che non si risolveva ancora ad andare a casa.

“Gigli! Venga con me!” esplose poi avviandosi verso la rimessa delle auto di servizio.

“Sissignore!” rispose eccitata la voce della giovane.

“E tu avverti l’agente Pugni e quell’altro, il suo compare, di venire alla balera Mirage con la macchina fotografica e il materiale per fare i rilievi!” urlò poi al centralinista “E se richiama quel tizio di cui mi parlavi, fatti dare nome e cognome e chiedigli di venire a rilasciare una dichiarazione!” Strillò quando era ormai fuori dal portone.

Lungo il tragitto né lui né l’agente Gigli dissero un parola. Era ormai metà mattinata e il caldo si faceva sentire, nonostante l’aria condizionata.

Giunti alla balera scesero cercando rapidamente con lo sguardo eventuali segni degli eventi della sera prima. Sempre senza dire una parola, cominciarono poi a percorrere lentamente i bordi strada. Erano ormai a più di mezzo km di distanza l’uno dall’altro quando  la voce dell’agente Gigli squillò: “Qui!”.

Il commissario si mise a correre nella direzione indicata gridando “Non tocchi niente!”.

“Certo che non tocco niente!” rispose lei non appena lui la raggiunse ansimando e grondante sudore. Il tono della voce non era risentito, ma lei lo fissava come a voler sottolineare che non era una stupida.

Ai piedi della ragazza c’erano pezzi di un fanalino di scooter e delle grosse gocce di sangue. Del sangue segnava anche il guard-rail: una grossa macchia sul bordo superiore e delle sgocciolature molto evidenti sotto. Pigliapoco si accoccolò per osservare meglio, scorgendo sul metallo delle strisciate di vernice di carrozzeria dello stesso grigio argentato dello scooter appartenente al morto.

“Qui!” di nuovo la voce dell’agente Gigli lo riportò alla realtà. Quella ragazza era un vero segugio!

“Che ha trovato?”

“Occhiali da vista, montatura in metallo argentato, piegati…” rispose lei dal campo in cui si era inoltrata a cercare altre prove “Sa se il morto portava gli occhiali?”.

Nel frattempo erano arrivati anche l’agente Pugni e il compagno di pattuglia, che si stavano avvicinando a loro armati di macchina fotografica e materiale per effettuare i rilievi asciugandosi la fronte con fazzoletti bianchi. Proprio in quel momento squillò il cellulare e il commissario rispose indicando contemporaneamente con vaghi cenni della mano ai due nuovi arrivati cosa andava fotografato e raccolto. “Sì, pronto? Ah, dottor Guasti, dica!” il viso del commissario Pigliapoco, dapprima grave, pian piano si aprì a un’espressione di sorpresa. “E allora con cosa è stata tagliata la gola?” chiese ad un certo punto, e poi, spostando lo sguardo sul metallo striato di sangue di fronte a cui si trovava, aggiunse “E se fosse caduto malamente su un guard-rail…? Potrebbe essere?”.

“Ehi!” la voce dell’agente Gigli gli giunse dall’altro lato della strada “Qui c’è una ciabatta infradito. E’ tutta rovinata, pare che parecchie auto le siano passate sopra”.

“E’ blu?” chiese il commissario conoscendo già la risposta.

“Sì, blu scuro”.

La visita alla famiglia fu a quel punto solo una formalità. Affiancato dall’agente Gigli, il commissario si recò nella modesta casetta di via del Pontevecchio dove trovò la moglie affranta e gli anziani genitori del morto. I bambini erano stati mandati da parenti per evitare loro il trauma, gli fu detto. Giusto per essere sicuro, Pigliapoco chiese se il loro caro indossava occhiali da vista con montatura in metallo argentato, e risposero di sì.

Tornato al commissariato, trovò tutta una serie di testimonianze sull’accaduto offerte da diversi cittadini, tutte coerenti con ciò che era accaduto: il barista, al ritorno da una festa di piazza di un paese poco lontano, era finito fuori strada, forse per una distrazione, forse per una birra di troppo. Aveva sbattuto di gola proprio sul guard-rail, procurandosi un brutto taglio; ma, vuoi per lo choc che gli aveva impedito di sentire il dolore, vuoi perché forse era un po’ brillo, non si era reso conto della gravità della ferita e aveva preteso di andarsene subito a casa, nonostante alcune persone avessero cercato di trattenerlo e avessero chiamato un’ambulanza. Uno dei soccorritori lo aveva persino seguito, per essere sicuro che non cadesse di nuovo e poi, visto che pareva proseguire normalmente, lo aveva lasciato andare. Lui aveva continuato per la sua strada e in un quarto d’ora era giunto sotto casa appoggiando lo scooter al muro, ma aveva ormai perso troppo sangue ed era svenuto, rimanendo seduto sul motorino. E da lì aveva continuato a perdere sangue fino a quando non era sopraggiunta la morte per dissanguamento.

Niente rapina, dunque, nessun assassino dalla pelle nera armato di machete.

Ma poca fu la soddisfazione, per il commissario Pigliapoco, nel telefonare al sito di notizie online per annunciare il vero svolgersi dei fatti e pretendere una immediata rettifica: nonostante il caso fosse stato risolto brillantemente e in tempi rapidi, restava lo sconcerto per una morte assurda e per il dolore di una famiglia.

Rientrato a casa, come prima cosa si fece una doccia fredda, vuoi per lavare via il caldo e il sudore di quella afosa giornata, vuoi per cancellare quell’odore di sangue che lo aveva inseguito fin dalla mattina. Poi cenò alla buona e si sedette per un po’ al buio, sulla sdraio in balcone, cercando di cogliere ogni minimo refolo di vento. Alla fine si risolse malvolentieri ad andare a letto. Sdraiato sopra le lenzuola lasciò che le immagini di quella giornata fuori dall’ordinario gli rotolassero nella mente, senza trattenerle, finché non si sentì scivolare nel sonno. Nel dolce abbraccio di un sonno meritato e ristoratore. Il sonno del giusto… bzzzzzzzz … sciac!

Maledette zanzare!

 

 

di Maddalena Gregori

2 Risposte a “Zanzare – II”

  1. La gente (come massa) non sa cosa farsene del “sonno del giusto” perché non la ripaga delle proprie frustrazioni. La gente non sa cosa fare della verità perché ne ha una bella e pronta in tasca che non ha bisogno di essere dimostrata. È quella, punto: non vogliamo lo straniero, il diverso. Se un povero cristo fa un incidente stradale e muore… è colpa dell’invasore che deve essere necessariamente cattivo e ingrato verso chi lo sopporta a casa sua!
    È così banale questo commento… ma vale la pena ribadire che la strada verso l’integrazione è ancora lunga e spinosa.

    1. La storia è una elaborazione romanzata di un fatto di cronaca realmente accaduto. I vari personaggi che ruotano attorno alla vicenda sono inventati, ma l’incidente è vero. Come vero è il fatto che, nell’immediato, i giornali locali titolarono che probabilmente la vittima era stata sgozzata per un tentativo di furto messo in atto da qualche immigrato, visto che il morto abitava vicino a un quartiere popolato da molti immigrati. Sono bastate poche ore di indagini per ribaltare la cosa, ma intanto le zanzare avevano punto.

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