Se fossi pittrice
userei i colori
tutti – in ogni possibile
tonalità – e il pennello
con quello potrei incidere
segni pesanti o farlo volare
come ala di farfalla
a seconda dell’effetto
da ottenere
– se fossi scultrice
con lo scalpello scaverei
nel marmo nella pietra
oppure plasmerei
a mano ferma l’argilla
– se fossi musicista
le singole note farei volare
una sull’altra
una contro l’altra
le farei cozzare
-e invece io scrivo
e la poesia usa la stessa materia
con cui scriviamo la lista della spesa
discutiamo raccontiamo litighiamo
spieghiamo al controllore
che il biglietto non l’abbiamo
e lo preghiamo di non farci
la contravvenzione.
di Maddalena Gregori
I tuoi versi mi hanno immediatamente riportato a Cecco Angiolieri, con il suo “s’io fossi foco”, uno dei più bei componimenti studiati a scuola. Ma mentre Cecco (e anche il Faber) attraverso i versi esprime la sua rabbia per il mondo che lo circonda, tu, attraverso i versi, tenti un viaggio dentro te stessa, “usando” tre nobili Arti, e mettendo in luce sentimenti profondi che “senti” difficili – forse complicati – da esplicare.
In fondo, però, si trova la tua “essenza”, capace di accettare quel che si è, quel che sei e quale sia la strada per esprimersi, per esprimerti, con disarmante semplicità:
“e la poesia usa la stessa materia
con cui scriviamo la lista della spesa
discutiamo raccontiamo litighiamo”.
Temevo che il “titolo” (in realtà quando scrivo le poesie raramente metto un titolo. Qui, dove lo chiedono, spesso uso semplicemente le prime parole) richiamasse il mitico Cecco. Lo temevo perché, come tu hai rilevato, lo spirito non ci si avvicina minimamente. E grazie per lo sguardo gentile e comprensivo che mi dedichi. La mia “disarmante semplicità” molto spesso si avvicina a un poco aulico “semplicismo”. Ma, è vero, questa sono io.
Pennello, scalpello, note. Sono come le tue parole: dipingi, incidi, scolpisci, componi la musica della tua anima. È un’arte tra le arti, la tua arte di scrivere “la lista” delle emozioni con la stessa semplicità con cui compili la lista della spesa. Ti viene proprio naturale.
Però, sarei curiosa di sperimentare se il controllore si convincerebbe a non mettere la multa se al posto di una voce “ascoltasse” un biglietto scritto. 🙂
Pensavo che sarebbe bello se con le parole del gioco scrivessi una poesia. Perdonami, non è una richiesta ma un desiderio. Io non riuscirei a scrivere una poesia nemmeno sotto effetto di stupefacenti.
Grazie
Non ci ho mai pensato, a scrivere una poesia con le parole del gioco. Magari potrei anche provarci. Non sono una sostenitrice della “sacralità” della poesia.
Anni fa, durante un corso di scrittura creativa, arrivò una corsista che rifiutava di scrivere racconti e portò le sue poesie. Dichiarò che lei le poesie le scriveva solo quando era ispirata, e che non le ritoccava perché le generava perfette già al primo colpo. O per lo meno così lei le giudicava. Ci fu un breve confronto sulla questione “poesia solo su ispirazione e già perfetta così” e la corsista, sentendosi incompresa, non è più tornata. Le sue creazioni? Purtroppo risentivano della sua presunzione.
Ma l’idea che la poesia non richieda sudore ma solo sacra ispirazione è molto diffusa.
Grazie del tuo, come al solito troppo generoso, complimento.
Ognuno comunica nel modo che gli è più consono.
E tu con le parole ci sai davvero fare!
Ciao
N.A.
Wow! Un complimento da te è oro puro. Arrossisco.