Un’incredibile serie di eventi

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Ancora oggi se ne parla, di quella incredibile serie di eventi che colpirono il paese di Borgoantico in pieno agosto, dodici anni fa.

Tutto cominciò esattamente la mattina del 18 agosto. Il paese venne risvegliato dai cupi rintocchi di campana a morto.

Il vecchio Sollisti, padrone della maggior parte degli oliveti del paese, era morto nel sonno. Lo aveva trovato la mattina presto l’anziana Ermione, che da anni si occupava di lui ed era l’unica altra persona che viveva in quella casa. Il vecchio giaceva nel letto supino, composto, la bocca appena socchiusa, la pelle di cera.

La vecchia signora aveva bussato alle cinque e mezza, la solita ora, ma lui non aveva risposto. “Strano”, aveva pensato socchiudendo la porta. All’interno il buio e il silenzio più assoluti. E poi la conferma: il padrone giaceva ormai cadavere sul letto.

L’incaricato delle pompe funebri, corredato di completo grigio fumo e cravatta, arrivò di lì a poco, trovando Ermione seduta sulla seggiola spagliata che da anni affiancava la porta della cucina.

Nel giro di un’oretta tutte le pratiche necessarie erano state espletate: avvisato il prete, lavato e rivestito il morto, allestita la camera ardente.

Già all’ora di pranzo l’enorme villa di campagna aveva cominciato a riempirsi di parenti che giungevano dalle aree più estreme del paese ed Ermione aveva dovuto chiamare delle domestiche per aiutarla a rassettare le stanze, preparare i pasti.

Di lì a due giorni ci fu il funerale e il corteo si snodò lungo l’interminabile viale affiancato dai cipressi, avvolto dal morbido profumo di fieno dei campi circostanti. Dietro al feretro i parenti più stretti, poi gli amici di famiglia, poi, tutta sola, Ermione, col suo abitino nero. Accanto a lei il cagnaccio randagio che da anni l’aveva adottata e che tornava periodicamente a prendersi cura di lei e a consolarne la solitudine. Qualcuno aveva cercato di allontanarlo a colpi di sassi, quel sacco di pulci, ma, dopo piccole variazioni sul percorso, lui era tornato ad affiancare l’anziana domestica per tutta la durata del corteo.

Dopo il funerale i visitatori scemarono e restarono ad abitare la villa i due figli, Alberto e Vittoria, in attesa della lettura del testamento. Da tempo in paese si favoleggiava sulle ricchezze del vecchio, ma non si sapeva bene a quanto ammontassero e il notaio doveva ancora inventariare ogni bene posseduto, mobile e immobile. Nel frattempo fratello e sorella vivevano sotto lo stesso tetto ignorandosi ostentatamente.

Finché, una mattina, la vecchia Ermione non ricevette alcuna risposta dopo aver bussato alla porta di Alberto. Non che fosse suo compito svegliarlo la mattina, ma la moglie era al telefono e voleva parlargli. Ermione bussò, attese, e infine entrò. Quella mattina lo sentì dall’odore che qualcosa non andava. L’uomo giaceva supino, la bocca leggermente socchiusa, la pelle cerea, lo sguardo sbarrato. Di nuovo venne chiamato il prete, poi avvertita la polizia e infine assoldato l’uomo con la cravatta, per preparare il morto. Ma non fu allestita una camera ardente perché la cassa venne trasportata alla città di residenza della sua famiglia.

Causa accertata della morte: arresto cardiocircolatorio (come se l’arresto cardiocircolatorio non fosse alla base di qualunque morte!). Unico elemento sospetto l’espressione spaventata del morto. Ma nessuno lo ritenne un motivo sufficiente per attivare delle indagini. In fondo si sapeva che Alberto soffriva di cuore.

Rimase Vittoria, che rinunciò, col beneplacito della cognata vedova, a presenziare al funerale del fratello per controllare l’inventario dei beni del padre.

Senonché, qualche giorno dopo, in piena notte, Ermione venne svegliata da un terribile fracasso che la spinse ad alzarsi e a precipitarsi in camicia da notte presso la camera di Vittoria. Non bussò nemmeno: terribili lamenti provenivano dalla stanza. Entrò e una scena terribile si presentò ai suoi occhi: Vittoria era riversa su un’enorme scheggia dello specchio della petineuse che le penetrava il ventre. Sangue ovunque, Vittoria con lo sguardo sbarrato dal terrore, il respiro sempre più breve, un rantolo e poi, più nulla.

Stavolta Ermione chiamò prima la polizia, poi il marito di Vittoria, poi l’uomo con la cravatta, che ebbe il suo bel da fare a ripulire e ricucire. Sulle cause del misterioso e sanguinoso incidente non fu possibile dare spiegazione. Ma a quel punto il notaio decise di sveltire le pratiche di quella scomoda eredità. A telefonargli ormai erano i due inconsolabili vedovi degli eredi del primo decesso. Lo supplicavano di fare alla svelta, perché volevano chiudere quella macabra vicenda al più presto.

Alla lettura del testamento venne invitata anche la vecchia Ermione, che sedette in un angolo dello studio, su una sediola posta dietro le due poltrone occupate dai cognati nerovestiti. E quale non fu la sorpresa dei due quando il notaio, dopo aver enumerato l’entità della considerevole eredità, passò alla lettura della clausola che prevedeva, in caso di morte dei due eredi diretti (figlio e figlia) che i beni del vecchio Sollisti andassero tutti alla fedele serva Ermione, nessun’altro incluso. Dapprima fu uno sbigottito silenzio, poi un’esplosione di urla, un bailamme infernale.

Il notaio, esterrefatto quanto i due doppiamente orbati cognati, cercò di placare la furia, di spiegare che, per legge, nulla poteva essere fatto a loro favore. Forse una causa, ma siccome non erano eredi diretti…

Nel suo angolo, Ermione scrutava la scena con lo stesso sbigottito stupore con cui aveva accolto ogni cadavere che le era capitato di incrociare nelle ultime due settimane.

L’indomani tutto Borgoantico sapeva della incredibile fortuna della vecchia domestica e si cominciò a ricamare intorno a quella ghirlanda di provvidenziali morti e alla nota in comune tra tutti loro: la presenza della dolce Ermione, piccola, tremula, con quello sguardo enorme dilatato dalle spesse lenti.

Ma non ci fu molto tempo per poter spettegolare sull’accaduto: l’indomani si vide Ermione, dotata di valigia, arrivare a piedi alla stazioncina ferroviaria di Borgoantico. Vi era giunta accompagnata dal vecchio cane randagio e aveva pure preso un biglietto per lui, direzione Quinto Palazzo, anche se poi voci ben informate riferirono che da lì sarebbe subito ripartita verso ignota destinazione, forse persino oltreoceano!

Decine di visi affacciati dalla saletta d’attesa in direzione della pensilina, decine di respiri trattenuti accompagnarono l’attesa della partenza di quella piccola anima trasparente a cui nessuno aveva mai badato troppo. Una figurina sottile, vestita di nero, affiancata da un vecchio cane. All’arrivo del treno, però, un breve putiferio: il cane, con un rigurgito di vigore, si era dibattuto fino a liberarsi del collare di fortuna che gli era stato, con suo evidente disappunto, imposto. Era fuggito a distanza di sicurezza e da lì, seduto, aveva assistito alla partenza del treno e della sua vecchia amica. Senza scomporsi troppo e senza badare al frullo di sguardi curiosi che la circondava, Ermione si era issata faticosamente sulla carrozza, e lì era rimasta, affacciata al finestrino della porta, finché fu possibile vederla. E ognuno poté finalmente riprendere fiato.

Quanto al cane, l’indomani venne trovato accovacciato ai piedi della sedia spagliata posta di fianco alla porta della cucina, gli occhi socchiusi, a godersi il calore del sole e il profumo morbido del fieno.

 

di Maddalena Gregori

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