Speranza è l’ultima a morire

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La signorina Speranza si sollevò a sedere con un lieve lamento. Le sue vecchie ossa!

Un rapido sguardo alla finestra per controllare il tempo: il sole era già levato ma poco luminoso, i raggi filtrati da un leggero velo di foschia.

Le pantofole di panno, cucite con le sue stesse mani, accolsero morbide i piedi infreddoliti. Era solo settembre, ma lei sentiva già tanto freddo.

Strusciando leggera si diresse verso il vecchio tinello odoroso di cavolo. Con sobri gesti misurati dall’abitudine, preparò la moka, la mise sul fuoco, aprì lo stipo, apparecchiò il tavolino dal piano di marmo con due tazzine, la zuccheriera, un piattino con i biscotti secchi.

In attesa che il caffè salisse, si diresse al bagno dove fece pipì, si lavò mani, viso, collo. Un rapido sguardo allo specchio per sistemare quei quattro cernecchi che le svolazzavano intorno al viso come un’aureola argentata.

Dal tinello il caffè cominciò a gorgogliare distogliendo la signorina Speranza dalla rapida toletta mattutina. Giunta in cucina posò la moka sul sottopentola e si avviò lungo il corridoio verso la camera degli ospiti.

Bussò piano, più un tocco di ala di farfalla che un bussare vero e proprio. Una vocina, o uno scricchiolio forse, rispose. Speranza interpretò il suono come un invito ad entrare e così fece.

“Il caffè è pronto…” sussurrò con un sorriso nella voce.

“Grazie… ora vengo” rispose una vocetta dalla penombra.

“Allora aspetto te per berlo” concluse Speranza, avviandosi verso il tinello da cui proveniva ancora debole il borbottare della macchinetta.

Seduta al tavolo, si mise a sbocconcellare un biscotto, mentre dal corridoio giungevano i rumori tipici di un risveglio mattutino: la persiana spalancata, la porta del bagno, lo sciacquone, lo scorrere dell’acqua.

Era felice, la signorina Speranza. Era felice di avere, da ormai un paio di settimane, quella graditissima ospite. La sua quieta solitudine, che aveva sempre sopportato con serenità, sembrava finalmente terminata. Da tanti anni viveva sola in quella casa che l’aveva vista crescere e da bambina diventare ragazza, poi giovane donna, e ormai anziana. Una casa che un tempo aveva ospitato fino a dieci persone e che negli anni si era mano a mano svuotata, fino a lasciare lei completamente sola, intenta ad ascoltare l’eco che si inseguiva da una stanza all’altra.

Prima se ne erano andati due suoi fratellini, morti di tifo durante la guerra, poi nonna Angelica e nonno Tarcisio ormai vecchi. Poi era toccato al babbo, morto in un incidente. Erano rimasti lei, mamma, zia Celeste, suo fratello maggiore e la sorellina. La vita proseguì tra loro cinque, coi figli che pian piano si allontanavano per seguire le loro strade: gli studi, i fidanzamenti, i matrimoni.

Zia Celeste se ne era andata in silenzio, come era sempre vissuta, una mattina d’inverno dai suoni ovattati dalla neve. E così Speranza rimase sola con la mamma, che si faceva sempre più anziana e bisognosa di cure. Aveva finito le scuole superiori, era diventata maestra di scuola elementare. Usciva la mattina e rientrava per pranzo.

I pomeriggi trascorrevano con le due donne sedute nel soggiorno, la maestrina intenta a correggere i compiti dei suoi scolari o a sfogliare una delle varie riviste di aggiornamento che le venivano inviate, la mamma a sferruzzare o a rammendare, nonostante la vista sempre più corta.

Ma aveva avuto anche un grande amore, la signorina Speranza: un giovane militare capitato in città a seguito di una inondazione. Tutti i cittadini che non avevano subito danni alle abitazioni avevano aperto la porta delle proprie case per offrire ospitalità agli sfollati e ai soldati giunti a dare una mano.

Nella loro casa prese posto una famiglia, composta da una giovane coppia con un piccolino di pochi mesi, e un paio di soldati. Uno dei due militari era alto e bello, biondo e con profondi occhi blu. Parlava uno strano dialetto e Speranza non capiva quasi nulla di quel che diceva. All’inizio quegli strani suoni gutturali le facevano quasi paura, ma poi, col tempo riuscì a percepire la dolcezza del tono e l’armonia degli sguardi che il giovane soldato le dedicava. Furono settimane così intense, speciali, magiche.

Poi una sera un temporale provocò un’interruzione della corrente elettrica che si protrasse per tutta la notte.

Gli ospiti della casa furono costretti a girare per casa ognuno con la propria bugia corredata di candeletta. E quella notte Speranza, che a causa di uno strano sogno si era alzata e stava andando a prendersi un bicchiere d’acqua, si ritrovò faccia a faccia col bel soldato, lei avvolta nella sua camiciona da notte in contonina che la copriva dal collo ai piedi, e lui in quel buffo pigiama di cotone a righe. La luce tremula delle candele giocava coi lineamenti e Speranza non riusciva a decifrare l’espressione del soldato: ora le pareva arrabbiato, ora sbigottito, ora infastidito. Ma lui era solo scosso dall’emozione. La luce delle candele tremava e vibrava giocando coi contorni dei loro visi quando lui all’improvviso, senza dire una parola, si chinò su di lei e le posò un bacio sulle labbra ma così lieve, così delicato, che l’intero corpo di Speranza venne scosso da brividi profondi. Poi, come spaventato dal suo proprio gesto, il giovane svanì nella penombra verso la sua camera da letto.

L’indomani, però, alla luce del giorno, prese il coraggio a due mani e le dichiarò il proprio amore, chiedendole di sposarlo. Insieme andarono dalla madre, che ascoltò immota la richiesta del giovane e annuì, guardando in faccia prima il ragazzo e poi la figlia: “È giusto che anche Speranza abbia la sua vita” fu la risposta.

Il loro idillio proseguì via lettera anche quando il giovane venne rimandato presso il suo comando. Poi venne il congedo e lui tornò al suo lontano paese di origine. Più volte le scrisse chiedendole di sposarlo, più volte le lanciò degli ultimatum. Ma non ottenne mai un assenso chiaro e definitivo.

Speranza riceveva le sue lettere con gioia, le leggeva alla madre, ma, col tempo, le frasi da saltare, da tenere solo per sé, erano sempre più rare. Finché un giorno lui non le annunciò il proprio matrimonio con una lontana cugina. Speranza lesse, la madre la scrutò in volto, e lei trattenne la lacrima che sentiva spuntarle all’angolo dell’occhio fino al momento in cui non fu sola nella propria stanza.

Ora però quei tempi tristi erano lontani: Speranza era di nuovo felice, perché la sua solitudine si era conclusa. Da due settimane ospitava la sua amica, conosciuta in una delle sue scorribande al cimitero di un paesino a soli dieci chilometri da Quinto Palazzo, dove viveva da sempre; un paesino in cui si recava ogni settimana a visitare la tomba di un suo antico scolaro.

Proprio in quel momento l’amica entrò nel tinello, con un amabile sorriso sul volto.

Senza dire una parola sedette di fronte a Speranza, versò il caffè nelle due tazzine, mise lo zucchero e mescolò lentamente. Il tintinnare dei cucchiaini risuonava allegro nel tinello profumato di spezie e di cavolo.

Poi Speranza si decise a rompere il silenzio.

“Ma dimmi, Ermione, perché te ne sei andata da Borgoantico? Non me lo hai ancora detto…”

“Per…” Ermione si guardò attorno, come a cercare la parola giusta “Come si dice… per omicidio, ecco”.

 

di Maddalena Gregori

4 Risposte a “Speranza è l’ultima a morire”

  1. Se vuoi facilitare le operazioni di correzione, qualora ritenessi opportuno accogliere un suggerimento, puoi fare una cosa semplice che ti evita di leggere per intero il testo ed andare a caccia dell’errore.
    Con le dita schiaccia contemporaneamente sulla tastiera i tasti Command + F
    Ti si aprirà a sinistra, in basso sul monitor, una finestella con la lente. Digita la parola da correggere, ad esempio “settimana” come in questo caso, e premi invio. Noterai che il computer ti mette in risalto la parola come si fa con gli evidenziatori. Beccata! E quindi puoi farne ciò che ti pare.
    Io ho un Mac, ma se tu hai un Windows, il tasto Command corrisponde a quello col simbolo Windows. Credo funzioni con tutti i sistemi operativi.

  2. Sento il gusto del brivido e fantastico così:
    “La sua quieta solitudine, che aveva sempre sopportato con serenità, sembrava finalmente terminata”. Eccome se è terminata! Speranza è l’ultima a morire, non solo come ultima di una famiglia di dieci membri, soprattutto come ultima vittima di Ermione che, dopo una sosta a casa dell’amica (probabilmente per organizzarsi le idee sul futuro), toglie di torno quell’incauta testimone della sua confessione.

    L’appuntamento
    Una serie incredibile di eventi
    Speranza è l’ultima a morire

    Bellissima trilogia sul filo conduttore della solitudine. Un thriller molto originale, che non ci si aspetterebbe mai dalla prima dolcissima storia della maestra al cimitero. Sei da film… rassegnati! Sì, lo so, devo trovarti un bravo regista che si appassioni alle tue storie. 🙂

    Se posso permettermi di farti notare una incongruenza: “Da due settimane ospitava la sua amica, conosciuta in una delle sue scorribande al cimitero di un paesino a soli dieci chilometri da Quinto Palazzo, dove viveva da sempre; un paesino in cui si recava ogni mese a visitare la tomba di un suo antico scolaro”. “Ogni mese” andrebbe sostituito con “ogni settimana” .
    In L’appuntamento si legge “Da alcuni anni, ogni sabato alle 13 e 28, alla stazione ferroviaria di Borgoantico…”, cadenza settimanale confermata dai sette chicchi di caffè che Speranza ripone nel vaso, in memoria del chicco giornaliero che il suo alunno le regalava.

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