Sono stata quella bambina
che felice saltella
dietro a genitori affranti
scendendo dall’aereo
che – in fuga – li porta in Europa.
Sono stata quel cane
lasciato a morire di fame – incatenato
per giorni e giorni in mezzo al nulla
e che quando l’hanno trovato
ha scondinzolato.
Sono stata quel cambogiano
a cui una mina antiuomo
ha strappato una gamba
e che ora per un euro al giorno
a mani nude scava nei cantieri edili.
Sono stata quella donna inseguita
picchiata bastonata bruciata
da un uomo che la voleva sua
a ogni costo – per distruggerla –
ma che poi si è “salvata”.
Sono stata quel cerbiatto
fuggito ad occhi sbarrati
dalla vista di sua madre in fiamme
– scampato al rogo estivo appiccato
da chi ne trae guadagno.
Sono stata il dolore, il sollievo
e ancora il dolore che torna dopo il sollievo
quando t’accorgi davvero
di ciò che è stato.
Sono stata la rabbia e tutte le lacrime
che la rabbia lavano
senza riuscire a cancellarla.
Sono stata ogni dolore
senza riuscire a consolarmi.
di Maddalena Gregori
Buon giorno Mad Maddy :), non so perché il commento di sopra che risulta anonimo non reca il mio nome. Ero sicura di averlo scritto, riprovo adesso per vedere se è un disguido.
In realtà forse risulta anonimo agli altri, ma a me appariva come Antonella (accanto al codice identificativo del tuo pc o smartphone)
Perciò ti avevo già individuata 😀
Crudeltà, ingiustizia, violenza, INDIFFERENZA, in una sola parola, se ne esiste una che possa comprenderle, disumanità. Sentirle è un dolore di cui non ci si può consolare se non nei saltelli felici di una bimba, grata e piena di speranze sotto al sole. Credo che la consolazione e la riparazione, siano nel prendere con noi quegli occhi e quel cuore puro, E con questo voglio dire che, per quanto grandi e profonde sono le ferite ancora e sempre sanguinanti o le cicatrici di questo mondo infame, l’unica cosa da fare è agire, ognuno con le proprie forze, per vedere ancora quei saltelli.
Parole come le tue consolano, un po’.
Il dolore, così necessario all’uomo per la propria sopravvivenza, diventa gabbia che non include, diventa cosa “non nostra” da lasciare sulle pagine di un giornale o dietro le immagini veloci di uno schermo. Tu no, tu lo riporti a galla, lo richiami, lo evochi perché solo condividendo perde la sua forza distruttiva e diviene empatia. Empatia, una delle più alte emozioni umane.
Grazie Francesca. Sono tempi bui, in cui sembra che “sentire” sia una disabilità da combattere e rifiutare.