Attraverso i secoli

"Maddalena" di Andrea del Sarto
“Maddalena” di Andrea del Sarto

 

In un museo immaginario, archivio di conoscenze, il procedere dei passi mi conduce verso tracce di una storia a me lontana ed estranea. E che pure mi appartiene. Emergono i segni, richiami vaghi, cenni clandestini che colpiscono come schiaffi, improvvisi risvegli a memorie di eventi mai vissuti. Immagini, dipinti in cui riaffiora il mio volto, nascosto nelle pieghe di un passato che non ricordo.
Accade spulciando tra vecchie stampe ingiallite e sfatte, dalla carta fragile, polverosa e di scarsa qualità. Stampe pubblicitarie, col prodotto associato a un’immagine d’arte preziosa. Tante copie tutte uguali, volti dalle espressioni convenzionali, comuni, a volte leziose, a volte caricate in un dramma interiore malamente recitato, come guitti su una scena barocca.
Poi, imprevisto, emerge un volto: lo sguardo verso il basso, il viso tondo, la bocca dalle piccole labbra serrate in una triste introversione. Sono io, cinque secoli fa. Come se mi stessi guardando allo specchio: io in un’epoca lontana.
Non c’è dubbio: il mio volto, ma, soprattutto, la mia anima.
E poi di nuovo, accade visitando una mostra che mi attrae e mi lusinga, nell’ennesimo gioco d’identificazione, per il tema: “la Maddalena”. E tra le sale, tra i visi antichi, tra i lunghi capelli ondulati e le espressioni pentite o fiere, tra i corpi seminudi goffamente coperti da gesti che, nell’ingenuo pudore, si rivelano ancora più sensuali del disvelamento danzato di una Salomè, ecco che riemerge un volto. Sempre quello. Di nuovo lei: lo sguardo basso, il viso tondo, la piccola bocca serrata… è una Maddalena, anche lei, come me, lei che ha il mio stesso viso. Anche lei una Maddalena, dall’orgogliosa capacità di umiliarsi, di isolarsi ignara degli altri, consapevole solo delle proprie necessità interiori. Grava su quella fronte una severa concentrazione che le fa aggrottare la fronte, corrugare le sopracciglia. Contratta nello sforzo di andare al di là di ciò che ai più è dato di vedere, chiusa nella fatica di sopportare lei sola, da sola, il fardello. Melancholia, triste tensione interiore che estrania e isola. “Beata solitudo, sola beatitudo”. Una posa informale, incurante e sfacciata, che non riesce però a celare la bellezza. Che è tutta nei capelli.
Né riesce a celare la forza, l’intensa e salda consistenza. Che è tutta nello sguardo.
Come una piccola sfera di piombo, di massa infinita, corrosiva e insinuante. Deep, more and more, più giù, più dentro, più a fondo. Alla ricerca di un senso che unisca destini divisi dai secoli, alla ricerca di quel filo che lega i segnali che nel tempo affiorano, dell’infinita corda di lunghi capelli intrecciati che mi lega al passato del mio nome. Che mi lega al passato del mio viso. Del mio sguardo.

“Melancholia” di A. Durer

 

Segnali che raccontano sempre la stessa storia: di donna dalla personalità dai tratti apparentemente incongrui, decisa e forte, così forte da essere capace di cedere, e mutare, e adeguarsi. Donna dall’orgoglio ineguagliabile, dapprima inteso in modo banale, nel coraggio di opporsi, nella capacità di combattere, e poi riscoperto nella capacità di umiliarsi, di governare i propri moti e il proprio carattere indomito. Carattere difficile da domare, solo a prezzo di sangue e dolore che non si può raccontare. Di lacrime, così tante che non c’è voce sufficiente per urlarle.
È questo che chiama? Il bisogno di dare un senso a tanto orgoglioso dolore?
L’orgoglio del proprio dolore, e la necessità di orgogliosamente affrontarlo; non sfuggirlo, badate bene, ma mettersigli di fronte, a sguardo teso, e fissarlo, scacciando la paura, cercando la ragione, il senso di tanta sofferenza. Perché una ragione ci deve pur essere. E quando finalmente sarà chiaro il motivo che sta dietro a tutto ciò…

 

di Maddalena Gregori

 

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2 Risposte a “Attraverso i secoli”

  1. L’orgoglio del dolore e la necessità di orgogliosamente affrontarlo, traspare dalle letture di questo blog. Ho letto solo oggi questo post che fisiologicamente avrei dovuto leggere all’inizio dell’esplorazione di questo spazio. Qualche volta l’ho aperto ma non sono andata oltre le prime due o tre righe. Forse ho capito che adesso era il momento giusto per leggerlo, perché un pochino (non voglio fare la sbruffona), dopo aver letto buona parte del blog, ora riesco a riconoscerti in questi tratti.

    1. Nomen omen, dicevano i latini. Ma nel mio nome io ho sempre sentito la storia, le stratificazioni di miti e simboli che hanno accompagnato questo nome.

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