Cuori in gabbia – VIII (fine)

Scena dal film “Le ali della libertà” di Frank Darabont

 

(continua) Tutti i minuti trascorsi con quel ragazzo, tutti i ricordi, divennero per Bruno una preziosa miniera di gioia. Ma anche di disperazione, perché sapere che lui esisteva, ma che non poteva essere raggiunto lo spossava, lo straziava.

Cominciò a scrivere, piccole poesie piene di retorica, spesso riecheggianti quelle scritte da altri e che gli piacevano di più. Scrivere lo faceva sentire felice. L’idea di poter un giorno offrire quelle parole che gli sgorgavano dal cuore all’oggetto del suo amore lo nutriva e gli dava speranza.

Arrivò persino a chiedere alla guardia se avesse notizie di Andrea, così, con nonchalance, come se fosse una curiosità insulsa e passeggera, piuttosto che l’ossessione che ormai gli abitava il cervello ogni istante della giornata. Lui lo amava!

La consapevolezza di quel sentimento che finalmente gli colmava la vita gli permise di sostenere il colpo peggiore: il programma di inserimento lavorativo presso cooperative fuori dal carcere era abortito. Il Ministero aveva deciso per dei tagli radicali, il che significava zero assistenti sociali, zero operatori che potessero affiancare Bruno, zero contributi per la sua assunzione. Zero lavoro fuori di lì.

Ma Bruno aveva i suoi nuovi amori a dargli conforto: quello per la poesia, e quello per Andrea che, anche se solo ideale, gli permetteva di sfuggire a quelle sbarre.

Quale sorpresa quando, dopo un anno, Andrea ricomparve. Non venne assegnato alla sua cella, stavolta, ma a un cellone in un’altra ala. Gli capitò di vederlo per caso, quando il ragazzo venne in biblioteca per prendere delle riviste.

Che colpo! Il cuore gli esplose nel petto.

“Ehi!, Come va?”

Andrea spostò pigramente il suo sguardo su di lui e poi rimase a guardarlo con aria interrogativa.

“Bruno. Ti ricordi? un anno e mezzo fa sei stato per tre settimane nella mia cella. Eri in attesa del tuo proc…”

“Ah!… Sì… Ciao.” rispose Andrea laconico, col tono di chi non ha niente da aggiungere e porgendo le riviste scelte a Bruno perché le segnasse sul registro.

“Allora è andata male…” proseguì Bruno cercando di darsi un contegno mentre procedeva nella farraginosa compilazione della scheda di prestito “Quanto ti hanno dato?”

“Sei.” rispose secco Andrea.

“Sei mesi?” chiese Bruno spostando lo sguardo su quel viso che non era mai più riuscito a dimenticare.

“Anni!” fece Andrea con tono seccato mentre sollevava un sopracciglio a sottolineare la sua perplessità. ‘Che sei, scemo?’ sembrava sottintendere con quello sguardo.

“Ah già! Vero…” disse Bruno spostando rapidamente lo sguardo al registro e sentendosi coprire il viso di rossore. Alla fine gli porse le riviste con un sorriso. Andrea prese le riviste e lo guardò con aria interrogativa, gli occhi stretti e la bocca socchiusa, come a voler dire qualcosa. Ma nessun suono venne emesso.

Quella notte Bruno non riuscì a prendere sonno: sentiva il cuore bussare forte al suo petto, come a voler uscire, come se urlasse per essere liberato. Quel battito costante e impetuoso sembrava volergli dire mille cose tutte insieme, come se il suo corpo lanciasse un tamtam di richieste, una sull’altra, una dopo l’altra. Finalmente, dopo ore, quando già filtrava il lieve chiarore che precede l’aurora, si addormentò esausto. Sognò una bocca dalle labbra piene e morbide, che si contraeva, succhiando forte e inspirando, e poi si rilassava sensualmente, e da quella bocca soffici cerchi di fumo uscivano e si allargavano verso di lui, si allargavano fino a prenderlo al laccio, trascinandolo verso quella bocca da cui i denti bianchi facevano capolino, la rosea lingua guizzava. E lui si lasciava trascinare, abbandonandosi spossato alla dolce prigione di quell’abbraccio, incapace di reagire. E i cerchi, sbuffando, uscivano dalla bocca, spinti dal pulsare della gola, prima contratta nell’atto di inspirare e poi rilassata e dolce, quando il fumo veniva espulso, a formare nuovi cerchi, nuovi lacci. E Bruno lentamente scivolava verso quella bocca, verso la gola che gli si offriva disarmata e disarmante. E la bocca di Bruno si univa a quell’altra, a quella di Andrea, in un bacio tiepido e dolce, le lingue a carezzarsi, a cercarsi. E poi il bacio di Bruno proseguiva lungo la gola, offerta come un dono, disponibile. E poi scendeva lungo il torace, passando per un braccio torto all’indietro, prigioniero di un blocco di marmo che avvolgeva il corpo di Andrea, lo invadeva, lo incatenava, duro su morbido. E Bruno, lentamente, con costanza, scioglieva quella massa di materia senza vita coi suoi baci, con le sue carezze, e di nuovo tornava l’anima in quelle membra, di nuovo sentiva il cuore di Andrea battere, e lacrime di felicità riempivano gli occhi di entrambi. Lacrime che si mescolavano in un nuovo bacio, più intenso, più profondo, in cui il dolore di entrambi si scioglieva per sempre.

Al risveglio Bruno si sentiva debole e stremato, come se avesse lottato con qualcuno. Ma la mente era aperta e limpida. Sapeva cosa doveva fare. Prese le sue poesie e cominciò a ricopiarle su dei foglietti, in bella scrittura.

Poi se le portò in biblioteca, ogni giorno, aspettando di incontrare di nuovo Andrea. Gliele avrebbe regalate, non tanto per comunicargli il suo amore… dalle poesie non si capiva a chi fossero indirizzate. Voleva regalargli una parte di sé, la parte più viva e sincera, la parte che avrebbe saputo ridare anche ad Andrea il dono dell’anima.

Attese una settimana, il termine massimo per la restituzione delle riviste, ma Andrea non si vide. Attese altri giorni, sempre senza che Andrea si facesse vedere, chiedendosi se fosse il caso di farlo richiamare dalle guardie, ma temeva di creargli dei problemi.

Finalmente un giorno gli capitò di incrociarlo in corridoio. Bruno lanciò un saluto al ragazzo, e quello, che camminava tra due guardie a capo chino, sollevò il viso per vedere chi gli avesse parlato. La sua faccia era devastata da lividi. Uno sguardo immobile e senza emozioni colpì Bruno come un pugno. Uno sguardo di un solo istante.

“Che ha combinato?” chiese allora Bruno alla guardia che lo accompagnava.

“Fa sempre a botte coi compagni di cella, mi sa che lo mandano alla cella liscia…” rispose quello.

“Mi spiace” fece allora Bruno con tono indifferente “Quando è stato da me mi era sembrato un bravo ragazzo… Magari, se potesse lavorare in biblioteca…”

“Sei troppo buono, tu!” gli fece di rimando la guardia

“Macché buono, un po’ di compagnia mentre si lavora a me non darebbe fastidio. Se poi a lui serve… Prova a dirlo al direttore” insisté Bruno.

“Vabbe’… Vedremo” rispose la guardia.

Di lì a qualche giorno Bruno venne chiamato dal direttore. L’ufficio non era cambiato di una virgola da quella prima volta che ci era entrato, tanti anni prima. E ogni volta che ci rimetteva piede gli tornava alla bocca dello stomaco l’angoscia dolorosa di quel giorno.

“Mi hanno detto che saresti disposto a prendere quel tipo … Andrea, quel tipo che è arrivato da poco, a lavorare con te in biblioteca. È vero?” chiese il direttore.

“Beh, sì. Ci ho già avuto a che fare un anno e mezzo fa, ricorda? E ieri l’ho visto nel corridoio e mi sembrava che forse… Non so, magari a dargli da fare qualcosa” rispose Bruno senza sapere bene cosa fosse meglio dire per non scoprire le vere ragioni del suo interessamento.

“Guarda che quello è un piantagrane. Ce lo hanno mandato qui per questo!” disse il direttore con aria pacata “Però è anche vero che se lo togliessimo un po’ dalle celle forse farebbe bene a lui e agli altri” si interruppe guardandolo fisso. Poi proseguì: “Se veramente te la senti…”

“Certo” rispose Bruno cercando di mantenere un’espressione neutra. “A me farebbe addirittura comodo”.

Il direttore se ne stava lì, seduto immobile davanti a lui, fissandolo come un predatore, e Bruno aveva la sensazione che gli stesse leggendo dentro, che in realtà avesse capito benissimo quali fossero le sue vere motivazioni. Poi, d’improvviso, sbottò: “Va bene. Appena finisce il periodo di punizione, te lo mando. E che dio ce la mandi buona.”

Bruno sorrise, porse la mano al direttore e uscì, felice come non era da tanti, tanti, tanti anni.

Una settimana dopo, Andrea venne portato in biblioteca durante il suo turno. Senza sapere bene come cominciare, Bruno gli chiese: “Non hai portato le riviste?”

“Quali riviste?” chiese cupo Andrea.

“Quelle che avevi preso in prestito…”

Andrea se ne stava lì, fissandolo, con le labbra socchiuse e uno sguardo tra il costernato e il dubbioso. Poi mormorò “Distrutte…”

Lo stupore si dipinse sul viso di Bruno: “Come distrutte? Sapevi che avresti dovuto restituirle, no?”

Andrea abbassò lo sguardo: “Sì, ma… Sono successi dei casini… Non le ho più”

Bruno rimase lì fermo a fissarlo, catturato dall’aria avvilita del ragazzo, un atteggiamento che non si sarebbe mai aspettato; poi, quando Andrea sollevò di nuovo lo sguardo, rispose: “Vabbe’, fa niente. Troverò il modo di giustificare la cosa.”

Poi passarono a questioni pratiche. Bruno parlava, spiegava, e Andrea eseguiva, in silenzio. A fine turno, escluso il primo scambio verbale, Andrea aveva detto sì e no dieci parole, ma Bruno era troppo felice di averlo accanto a sé per farci caso. E poi se lo aspettava. Il ragazzo era reduce da una punizione in cella liscia, e da non meglio identificati ‘casini’ coi suoi compagni di cella. C’era da immaginare di che tipo di ‘casini’ si poteva trattare.

Così si salutarono e ognuno venne scortato alla propria cella.

L’indomani Bruno aveva portato con sé le poesie. Ma non sapeva bene come dargliele. Cercò però di farlo parlare, di offrirgli una possibilità di sfogo. Ma Andrea reagiva sempre con uno sguardo dei suoi, un po’ di traverso, da cane bastonato e arrabbiato con la vita. Dapprima erano sguardi rapidi, ma poco alla volta cominciarono a prolungarsi sul volto di Bruno, come se all’improvviso, solo in quel momento, lo vedesse per davvero.

Erano momenti magici, per Bruno. Sentiva che, anche senza parole, Andrea si stava sciogliendo, stava capendo.

Pochi giorni dopo, Bruno fece scivolare nella tasca della giacca di Andrea uno dei foglietti scritti in bella calligrafia. E lo guardò, mentre si allontanava lungo il corridoio, scortato dalla guardia. Lo vide mettere la mano in tasca, vide la mano bloccarsi e poi furtivamente tastare, poi lo vide togliere la mano di tasca, probabilmente per non far insospettire la guardia.

Un sorriso di gioia si stampò sul viso di Bruno.

Dovette attendere un paio di giorni, prima che fosse nuovamente il suo turno in biblioteca. Mentre attraversava i corridoi scortato dalla guardia, per la prima volta da quando era in prigione il “clang!” secco dei cancelli non gli provocava dolore, ma gli risuonava dentro come campane a festa. “Clang! clang! clang!”. Ogni “clang!” più vicino al suo amore.

Quando giunse in biblioteca Andrea era già lì. Bruno gli sorrise, felice. Gli si avvicinò e gli diede la solita pacca sulla spalla.

Poi attese che le guardie si allontanassero per poter esporre liberamente ad Andrea l’idea che aveva maturato quella notte. La sua cella era quasi sempre vuota, e in due ci si poteva stare benissimo. Con la scusa della biblioteca, del fatto che svolgevano lo stesso lavoro, lui poteva fare richiesta per il trasferimento di Andrea nella sua cella. Il direttore ormai si fidava di lui, non ci sarebbero stati problemi. Era certo che glielo avrebbero concesso, ne era certo.

Parlava, parlava, piano, sussurrando, perché nessuno potesse sentire, in caso ci fosse qualche guardia nel corridoio. E mentre parlava guardava Andrea che, a capo chino, si dirigeva in fondo alla seconda stanza, dietro gli scaffali del settore biografie e manuali, l’angolo più appartato della biblioteca. E Bruno, tutto preso da quello che gli stava dicendo, gli stava dietro, appiccicato perché non poteva alzare la voce.

Finché si trovò stretto in un angolo, proprio mentre stava chiedendo: “Allora, cosa ne pensi?”.

Andrea stava di fronte a lui, le sue mani strette sulle braccia di Bruno, che lo spingevano verso l’angolo formato dagli scaffali. E Bruno lo fissava costernato, il volto trasfigurato da una sorpresa colma di felicità. Quella bocca così vicina alla sua, quello sguardo carico di stanchezza e di malinconia, prigioniero di un dolore antico che lui, Bruno, sapeva riconoscere.

Bruno socchiuse la bocca, lasciò che la sua lingua guizzasse sul bordo delle labbra sorridenti, invitanti, aperte a tutto ciò che Andrea avesse voluto…

Poi la bocca si spalancò in una sorpresa estrema, mentre Andrea premeva con forza il suo corpo col proprio, e poi premeva ancora, e ancora, lo sguardo fisso nel suo.

Quando Andrea si staccò, Bruno abbassò gli occhi sulla lama che era stata piantata nel suo ventre, sul sangue che sgorgava senza freno. Poi tornò a guardare Andrea: sul quel viso amato uno sguardo fermo e asciutto, con una nota di dolore, così forte, così forte…

“Frocio di merda!” sibilò Andrea, mentre Bruno scivolava verso il pavimento, libero finalmente.

 

di Maddalena Gregori

3 Risposte a “Cuori in gabbia – VIII (fine)”

  1. Sono contenta della tua piccola gioia. 🙂
    A me piace molto quando parli della genesi dei tuoi scritti, è interessante e affascinante.
    Grazie!

  2. Cuori in gabbia, è l’ultimo best seller di Maddalena Gregori, da cui è stato tratto l’omonimo film, in uscita ad ottobre 2020, della Paramount Pictures Corporation, con lo splendido Joaquin Phoenix nella parte del protagonista.
    Il romanzo è una complessa riflessione sulla libertà, percorsa nel solco espressionista dolce-amaro che permea la maggior parte della produzione artistica di Gregori.
    Una storia cruda e sincera, dalle tinte e dai contrasti accesi.
    Una storia di disamore, violenza, solitudine, paura, rassegnazione, sfiducia, annichilamento e vuoto. Il lettore proverà sgomento e orrore ma, mentre sarà tentato di strappare le pagine del romanzo dalla propria coscienza, al contempo ne sarà soggiogato, perché scorgerà in Bruno, il protagonista della storia, tenacia di vita, bellezza in nuce, dolcezza, tenerezza, tensione verso la scoperta di se stesso e del suo essere nel mondo, l’amore.
    Bruno è un ragazzo che diventa Uomo. La sua evoluzione psico-fisica avviene in un universo grande quanto una noce, un universo che ti toglie l’anima.; il carcere, in cui sconta una condanna per omicidio.
    Bruno è la conquista della libertà: diventare libero è diventare persona, un’opera d’arte che si libera dall’inerzia della materia e prende forma, come La prigione di Michelangelo e i non finiti michelangioleschi a cui il protagonista si appassiona. Un lungo e sofferto percorso di scoperta e consapevolezza che scardina le convinzioni con cui era entrato, giovanissimo, in carcere. “Mai come in quel periodo si era sentito solo al mondo” si legge nel V capitolo, “Fuori di galera era arrivato persino a considerare la sua solitudine come una espressione estrema di libertà, una vera e propria fortuna. Fuori di galera andava dove gli pareva, faceva quel che gli pareva e non aveva nessuno a rompergli le palle con prediche o urla”.
    Bruno comprende che la libertà è qualcosa di straordinariamente più grande della forza di volontà: vado, faccio, sono libero. Senza radici e legami la libertà è spaesamento. Pensarsi libero ma in realtà non esserlo, perché sprovvisto di coordinate per tracciare un sentiero alla vita, per scegliere davvero, invece di precipitarsi verso il baratro dell’assenza. Assenza di tutto, a partire da se stesso.
    E così, grazie alla lettura e, in seguito, alla passione per la poesia, riscopre le proprie radici di umanità, i valori dell’esistenza, i sentimenti, la gioia, la fiducia, la speranza, il calore, il sogno; e la convivenza nell’animo umano con gli opposti: la complessa bellezza, il miracolo, di essere uomo che soffre e gioisce al contempo, così come altri sentimenti contrastanti. Quella convivenza che riconosce in Andrea – una sorta di specchio di se stesso giovane-, il carcerato di cui si innamora durante una breve permanenza nella sua cella “ porto di mare”; sentimento che sarà l’incontro con la poesia a rivelargli come una esplosione devastante di consapevolezza.
    Bruno è libero di sentire la forza del proprio amore per un altro Essere e provare il desiderio di aiutarlo a farsi opera compiuta, a liberarsi dalle catene.
    Ma Andrea è libero arbitrio, non libertà. La sua forma è soffocata nella materia della paura, dell’odio e della violenza, mentre Bruno è finalmente libero. Libero di essere stesso, con amore, fiducia, anelito alla vita. Libero di spezzare le catene, finalmente, per mano del suo amore.

    PS: questo è il mio sincero pensiero. Ti prego, se vorrai rispondere, non concentrarti troppo sul best seller, il film, l’attore. 😀 Ho immaginato realmente un best seller e un film con Phoenix che sarebbe, a mio avviso, perfetto. Non ero scherzosa, pur essendolo. Però mi farebbe piacere se esprimessi una opinione sul resto. Della serie, se ho capito qualcosa o mi sono fatta un film tutto mio.

    1. “Bruno è la conquista della libertà: diventare libero è diventare persona, un’opera d’arte che si libera dall’inerzia della materia e prende forma”. Questo è esattamente quello che provo quando rileggo il racconto. Nota bene, non quando l’ho scritto, perché quando scrivo io non penso, vengo posseduta dal personaggio, che in qualche modo ha preso vita nel mio cuore e poi chiede, anzi pretende, alla mia mente di dargli una vita.
      E così è stato anche con Bruno, per il quale ho scelto un nome pieno di chiaroscuri e a cui ho cominciato a dare voce durante una vacanza-prigione (l’unica crociera mai fatta e che mai rifarò in vita mia). Poi, quando rileggo, riesco a vedere il disegno che stava nascosto dietro le parole che mi scivolano fuori dalla “penna” (in realtà scrivo al computer, anche se l’idea della penna è tanto più romantica).
      Grazie per la tua restituzione così dettagliata e appassionata. Mi fai capire che effettivamente sono riuscita a comunicare l’anima del mio personaggio, e questo credo sia la cosa più importante, per chi scrive: raggiungere il lettore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.