L’appuntamento

Rainbow coloured buttons

Da alcuni anni, ogni sabato alle 13 e 28, alla stazione ferroviaria di Borgoantico si può vedere una vecchia signora dal buffo cappello scendere dal treno proveniente dalla vicina cittadina di Quinto Palazzo.

A volte scendono due, tre persone, altre volte la vecchia signora è l’unica passeggera che ferma nella minuscola stazione; e allora non c’è nessuno a vederla.

Mentre scende dal treno il marciapiede è sempre troppo lontano dal predellino del vagone per le sue corte gambe, e la signora si trova perciò costretta a reggersi con vigore alla barra di metallo di fianco alla porta. E nella discesa la gonna si solleva un po’, mostrando il ginocchio velato dal collant color carne. Gonna subitamente rassettata da rapidi colpetti di mano non appena entrambi i piedi, calzati da comode decolleté tacco largo, si trovano saldamente posati sulla pensilina.

Uno sbuffo, un rapido fischio e il treno riparte. La vecchia signora, borsetta appesa al braccio, si avvia con passo fermo e postura eretta verso l’uscita della stazione.

Con camminata costante scandita dal suono dei tacchi, la signora s’incammina lungo le strade vuote di Borgoantico, attraversa la piazza della chiesa, supera la scuola elementare, il parchetto coi giochi dei bimbi, le case sempre più rade della periferia, fino al viale dei cipressi che incorona la cresta della collina.

Procede tranquilla la signora, lungo l’interminabile viale, interrotta solo da qualche fastidioso sassolino che s’insinua tra piede e suola. Allora si ferma e, appoggiandosi al tronco di un cipresso, solleva il piede, infila il dito, estrae l’importuna pietruzza.

La marcia procede senza altre titubanze fino al cimitero dal grande cancello barocco che accoglie tra le proprie braccia la signora e il suo cappello decorato da eccessi di piume e penne. Lei  percorre i vialetti accarezzando le lapidi in marmo eroso da pioggia e vento, su cui a malapena si leggono nomi e date. Le saluta, quelle lapidi, come vecchie amiche, ma non si sofferma che su una, la più piccola, inclinata da qualche antica frana del terreno. E lì, finalmente, la signora siede sulla seggiolina arrugginita a disposizione dei visitatori, leva il cappello, che posa a terra, e apre la borsetta da cui estrae un foglio di carta colorata e un paio di forbici da ricamo: con calma piega il foglio più e più volte, poi ritaglia con cura minuziosa e alla fine svolge il foglio e, miracolo!, salta fuori una di quelle ghirlande coi pupazzetti che si fanno per divertire i bambini.

Mentre prepara la ghirlanda, la vecchia signora parla, parla, e ride. Alla fine dispone la catena di bimbi e bimbe di carta sulla lapide, con un buffetto di soddisfazione finale.

Poi afferra il piccolo vaso di bronzo che poggia sbilenco sulla terra alla base della lapide, lo svuota su un fazzoletto che ha disteso sull’erba e ne spolvera il contenuto; a questo punto fruga nella borsetta da cui estrae un sacchettino con dei chicchi di caffè che fa cadere uno a uno nel vaso, assaporandone il rumore: ting, ting, ting, ting, ting, ting, ting. Sette piccoli rintocchi. Non appena il suono si azzittisce, con un sorriso malandrino la signora fruga nella tasca della giacchetta e ne estrae un bottone, ogni volta diverso e, tong!, lo fa cadere nel vaso, a tenere compagnia ai chicchi di caffè. A questo punto raccoglie i bottoni che erano già prima contenuti nel vaso e li rimette dentro tutti insieme, con rumore di temporale.

Una volta riempito il vaso la signora, ridendo allegra, lo scuote come fosse una maracas. Un concerto di ting ting ting tong ting ting tong ting tong tong anima per qualche istante il cimitero e per un tempo lungo quanto un battito pare che le lapidi fremano di allegria.

Finito il concertino, la signora ricomincia a chiacchierare rivolta alla lapide inclinata, racconta, ride… nessuno però è mai riuscito a sentire le sue parole. Il suo è un bisbiglio, un chiocciare, un pigolio.

La visita dura un’oretta, dopo di che la signora si rimette il suo buffo cappello piumato, sistema la sediola arrugginita e si avvia con postura eretta e passo fermo verso la stazione di Borgoantico. Ivi giunta, estrae e vidima il suo biglietto ferroviario di ritorno e prende il treno delle 15 e 48 diretto a Quinto Palazzo.

Ora bisogna sapere che nei piccoli borghi di cose di cui parlare ce n’è poche, e uno degli argomenti preferiti da pettegoli e pettegole di Borgoantico è l’appuntamento settimanale della sconosciuta signora con la piccola lapide del cimitero dedicata a un bimbo morto 60 anni fa all’età di soli 9 anni, un piccolo angelo salito in cielo per una febbre improvvisa. Ma nessuno è ancora riuscito a scoprire che proprio 60 anni prima la misteriosa signora, appena ventenne, aveva avuto il suo primo incarico di insegnamento come supplente presso la scuola elementare di Borgoantico e che quel bimbo dal carattere curioso e difficile le era rimasto nel cuore. Un bimbo che ogni giorno le portava in dono un prezioso chicco di caffè sottratto dall’osteria di mamma, un chicco da annusare e mordicchiare. Un bimbo che giocava coi bottoni. Ah, quanto li amava! ne era appassionato, li raccoglieva, li collezionava, spesso li rubava. Ne aveva sempre le tasche colme!

Ma c’è un altro tema che da qualche tempo impegna le lingue del borgo sulla piazza del mercato o dal barbiere: si tratta dello strano crimine che ogni sabato si consuma sulla tratta ferroviaria Quinto Palazzo – Borgoantico. Decine e decine sono ormai le denunce stilate sui moduli prestampati che giacciono nel faldone dell’ufficio reclami. In ognuna si segnala il furto, effettuato con destrezza e con l’ausilio di oggetto dotato di lama affilata, di un bottone, uno solo. Come furto non è niente di che, ma quel che scoccia è che poi si gira con cappotti, giacche e camicie dai  bottoni spaiati. E non è bello da vedere!

 

di Maddalena Gregori

10 Risposte a “L’appuntamento”

  1. Tenero e divertente.
    Persino ladra, la maestra, come il suo angioletto collezionista di bottoni! 🙂
    Mia madre era una maestra e, coincidenza col racconto, una bambina “dal carattere curioso e difficile le era rimasta nel cuore”. Lo racconta ogni tanto mio padre e ogni volta sento nella sua voce che quella bimba è rimasta nel cuore anche a lui. Riesco ad immedesimarmi nella tua storia, profondamente.

    1. E’ un bozzetto quasi alla Palazzeschi, questo raccontino. E mi piace molto, amo il personaggio della maestra, proprio perché così vivo, così realistico, nel suo amore mai sopito per un bimbo “difficile”. E infatti, vedi?, da qualche parte una maestra così c’è stata per davvero.

  2. Bello rileggere questa storia di un incontro, forse breve, certamente concluso, ma intenso, e di un modo per mantenerlo vivo dentro e fuori di sè.

    1. Ho sempre amato le figure dei maestri e delle maestre, persone nell’ombra eppure così importanti nelle vite di ognuno. Passaggi brevi, nelle vite di ognuno, ma spesso fondamentali.

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