Letterina di Natale

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Vignetta di Fabio Magnasciutti

 

Caro Babbo Natale,

mi chiamo Giovanni Martinelli. Faccio il saldatore in una delle poche fabbriche del posto che, in questi anni bui, non hanno ancora chiuso i battenti. Tutte le mattine mi alzo, saluto mia moglie che, tutta stropicciata, mi prepara il caffè, veste i bambini, prepara le cartelle. Poi io esco per andare in fabbrica cavalcando la mia bicicletta Colnago, mentre lei continua la sua vita su un sentiero parallelo: accompagna i bimbi a scuola, va a fare il suo lavoro come donna di servizio ad ore, torna a casa, mangia qualcosa al volo e spiccia casa fino a quando non è ora di andare a riprendere i bimbi a scuola. Poi rientra, prepara la merenda, ascolta i bambini, gli fa fare i compiti e prepara la cena per la famiglia e i rigatoni al pomodoro per il mio pranzo per il giorno dopo.

Io nel frattempo ho trascorso la mia giornata in fabbrica, ho indossato il mio grembiule di cuoio, che pesa come un vitello morto, i guantoni, la visiera di protezione e ho passato ore interminabili abbarbicato su traversine d’acciaio a saldare, saldare, saldare. Nel mio settore prepariamo semilavorati edili di grandi dimensioni, travature, tralicci. Sono affari giganteschi, che richiedono giornate di lavoro che non può essere svolto in loco; perciò nel capannone facciamo tutto quello che si può fare, lasciando il minimo da fare in sede di installazione finale.

All’una suona la sirena della pausa pranzo, e io mi mangio i miei soliti rigatoni al sugo, poi un caffè dal thermos (quello della macchinetta fa schifo, e lo bevo solo di rado), e una passeggiatina sul piazzale fuori dalla fabbrica. Alle due si riprende e via, grembiulone, guantoni, visiera, saldatore, ricomincio a fissare scintille per altre ore.

La sera rientro pedalando lentamente, se è inverno rabbrividisco, se è estate mi godo la frescura, perché dopo una giornata alla saldatura chiusi dentro uno scafandro di cuoio anche 35 gradi ti sembrano gradevoli.

A casa mi aspettano le urla dei bambini che giocano o litigano, mia moglie che mi fa domande e ha voglia di chiacchierare; io invece vorrei solo chiudere gli occhi che mi bruciano, lasciarmi andare. Ma non posso, sto lì e ascolto, intervengo stancamente coi bambini, grugnisco qualcosa a mia moglie.

Dopo cena un po’ di relax davanti alla tv e, mi vergogno a dirlo, ogni volta mi addormento sul divano.

Ma ieri è successo qualcosa, caro Babbo Natale, che mi ha dato da pensare: uscendo dal capannone a fine giornata, sul piazzale della fabbrica ho visto una Maserati Biturbo nera, lucida come un gioiello. Mi sono bloccato un attimo: da bambino quell’auto era il mio sogno. I vetri scuri impedivano di vedere all’interno, ma ad un certo punto un finestrino si è abbassato lasciandomi intravvedere i morbidi sedili in pelle chiara. Una segretaria è uscita dall’edificio di fronte ai capannoni e si è avvicinata di corsa, tendendo una cartelletta verso il finestrino aperto da cui è emersa una mano maschile che impugnava una penna Montblanc, sai di quelle nere e lucide, con la stellina bianca sul cappuccio: una firma in fondo al foglio, un rapido svolazzo e la segretaria è volata via, seguita dal mozzicone di un grosso sigaro, lanciato con nonchalance dal finestrino.

A quel punto il finestrino si è alzato, con lo stesso lieve fruscio con cui si era aperto, e l’auto è partita, allontanandosi lungo il viale.

Io sono rimasto lì imbambolato per un po’, a cavalcioni della mia Colnago, guardando il vuoto lasciato da quel gioiello in  fondo al viale, e poi sono partito, pedalando lento fino a casa.

E ieri, per la prima volta, non mi sono addormentato sul divano: ho passato la sera a osservare i bambini, li ho accompagnati a letto chiacchierando con loro, ho risposto alle domande di mia moglie, e sul divano sono rimasto lì con la testa sul suo grembo mentre lei mi carezzava i capelli e commentava le scene del film che passavano in tv. Non ho guardato il film, no, la mia mente era impegnata a osservare l’ossessivo rewind della scena del pomeriggio: l’auto nera e lucida, il finestrino che scivola senza intoppi o cigolii, la mano che emerge impugnando una penna che costa molto più della mia Colnago Primavera di seconda mano. Quel gesto sicuro, lo svolazzo di qualcuno che sa che la sua firma, il suo nome, vale più di quello di chiunque gli stia d’attorno. E poi il lancio del sigaro, in direzione del culo perfettamente cesellato della segretaria, quasi volesse sottolinearne la rotonda compiutezza e, in qualche modo, dire che pure quello è roba sua.

Non so quante volte ho rivisto quella scena, lì nel mio salotto coi mobili comprati a rate, coi muri che dovrei tinteggiare e che mi sa che dovrò farlo da solo, riempiendo di lavoro la mia prossima settimana di ferie.

Ripensavo alle mie domeniche mattina, passate a pedalare su e giù per le Prealpi, per respirare un po’ di libertà nel silenzio della natura. Ripensavo al culo della segretaria, paragonandolo a quello di mia moglie, che nel frattempo, ignara, continuava ad arricciolare i miei capelli sulle dita facendomi venire i brividi lungo la schiena.

A letto ho fatto fatica ad addormentarmi e sono rimasto lì ad ascoltare il respiro pesante di mia moglie, sul petto sentivo senso un di oppressione, di rabbia, di vergogna.

Adesso sono le sei di mattina. Mi sono svegliato mezz’ora fa senza riuscire a riprendere sonno. Tra mezz’ora la sveglia suonerà e il solito tran tran ripartirà e devo approfittare di questo poco tempo che ho a disposizione, se voglio scriverti la mia letterina di Natale.

Spero che, visto che è la prima che ti scrivo da tanti anni, io possa godere di qualche bonus in più, perché quello che voglio chiederti è davvero molto.

Allora, quello che io desidero è la felicità. Desidero ciò che ho visto ieri e desidero che duri per sempre.

Mi spiego meglio: ciò che desidero è che i miei occhi non si chiudano mai più di fronte alla gioia che mi danno i miei figli, la sera, quando rientro e la casa mi accoglie piena di echi e di suoni; desidero che le mie orecchie sappiano sempre ascoltare le parole di mia moglie, che ha ancora tanta voglia di condividere la sua vita con la mia regalandomi tenerezza e sostegno; desidero che le mie papille gustative continuino a godere dei migliori rigatoni al pomodoro del mondo (perché se li mangio praticamente tutti i giorni è perché lei li fa buonissimi!) e del caffè più aromatico che si possa bere a metà di una giornata di faticoso lavoro; e poi desidero che i miei muscoli sentano ancora il peso di quel grembiule di cuoio, perché finché ciò accadrà vorrà dire che io ho un lavoro, e che sentano la fatica delle pedalate, perché finché ciò accadrà vorrà dire che io sono in salute.

In buona sostanza, ti sto dicendo che ciò che mi serve per essere felice ce l’ho già, ma a volte mi capita di scivolare nell’apatia e di non vederla più. Perciò, per favore, mantienimi attento, consapevole, permettimi di vivere la felicità con tutti i sensi aperti.

E poi un’ultima cosa, piccolissima: per favore, Babbo Natale, sotto l’albero puoi farmi trovare una Maserati Biturbo rossa telecomandata? Come quella che tanto desiderai, da bambino, ma che mai mi venne regalata?

Ora ti saluto: sposterò la sveglia avanti di un quarto d’ora, perché ho voglia di stringere e baciare mia moglie, colorare un po’ la nostra giornata prima che inizi.

Ti ringrazio tanto, Babbo Natale,  per tutto ciò che potrai fare per me e buon lavoro!

il tuo Giovanni Martinelli

saldatore specializzato,

papà di Giulia e Andrea e marito di Laura.

 

di Maddalena Gregori

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