La donna del Thar

Donna Indiana durante la fiera di  Pushkar (AP Photo/Ajit Solanki)

Sabbia, sassi e aridi arbusti a perdita d’occhio, il vento caldo soffia senza posa.

All’orizzonte il sole sta calando rapidamente mentre, sul lato opposto del cielo, la notte avanza con incalzanti pennellate di buio.

Scarmigliata, avvolta in un velo agitato che le schiaffeggia il volto, la donna scarica dal cammello un fagotto. Poche rocce ancora calde le faranno da riparo per la notte.

Con gesti rapidi prima accudisce l’animale, togliendogli la pesante sella e legando la cavezza a un voluminoso arbusto lì vicino. Poi svolge il fagotto e si prepara un giaciglio su cui si abbandona con un piccolo lamento di piacere. Da una bisaccia estrae del cibo che comincia a masticare pigramente. La sabbia si infila nel pane e lei la sente scricchiolare sotto ai denti. Infastidita, beve qualche sorso d’acqua, ma tanto sa che si tratta di un sollievo momentaneo. Perciò si rassegna e riprende a mangiare cercando di ignorare la fastidiosa sensazione sotto ai denti che le scatena brividi in tutto il corpo.

Terminato il pasto si allunga sulla coperta. Sopra di lei la notte è un’enorme massa nera che la opprime. Non c’è luna e le stelle brillano in modo inquietante, giù giù fino a toccare il confine della terra. Una cupola di ghiaccio e di fuoco che le toglie il respiro.

Tutto intorno il silenzio interrotto solo dal brontolio dell’animale, che sembra aver sempre qualcosa di cui lamentarsi.

La donna osserva il cielo, scruta quell’infinito niente, o quell’infinito tutto, e non riesce a capire perché a volte se ne senta attratta e a volte invece spaventata. Stasera predomina il timore, forse per quel buio così impenetrabile, o forse semplicemente perché è stanca e non vede l’ora di tornare dove si sente sicura e protetta. “Uff!” sbotta ad un certo punto infastidita da quella sensazione che la scombussola. “Meglio dormire”, conclude a mezza voce, avvolgendosi con cura nella coperta.

All’alba il sole la sveglia con una luce che abbaglia fin dalle prime ore. Attorno a lei si librano cornacchie urlanti che si lanciano in picchiata su scarabei stercorari intenti da ore nel loro improbo compito.

Il cammello ha fornito dell’ottima materia prima agli insetti, che, a loro volta, offrono una lauta colazione alle cornacchie. Il cerchio della vita.

Dopo aver osservato per qualche minuto lo spettacolo offerto dagli animali, la donna si alza pigramente, la testa ancora avvolta dal sonno.

Il sole è basso sull’orizzonte e la attende ancora una giornata di viaggio, prima di raggiungere la sua meta: la casa in cui è cresciuta e in cui ancora vive con la madre e due sorelle. A metà strada dovrebbe incrociare un villaggio, poco distante da un pozzo. Lì potrà far abbeverare l’animale e riempire le borracce, poi ancora poche ore e prima del tramonto sarà finalmente a casa.

Grugnendo per lo sforzo, la donna carica la sella sul cammello, poi lo fa alzare e allaccia i finimenti. L’animale commenta con scocciatissimi bramiti che le ricordano il perenne brontolio della sua anziana nonna. Alla donna sfugge una risatina e il cammello si gira e le afferra una ciocca di capelli coi denti.

Lei si libera ridendo, avvolge la testa e il viso nel velo, fa abbassare l’animale e lo monta.

Si sente a suo agio su quella bestia, e sa che questo sentimento è ricambiato.

Prendersi cura dei cammelli è l’unica cosa che sa fare bene e ama farlo. Ma la cosa non è molto ben vista dalla gente, così come il fatto che lei e le donne della sua famiglia da anni ormai si mantengano da sole occupandosi proprio di cammelli, di allevarli e di venderli. Nella regione sono delle pioniere e non è stato facile per loro, da quando suo padre e suo fratello, unici uomini della famiglia in grado di lavorare, sono morti in un’imboscata nel deserto, mentre tornavano da una fiera. Qualcuno, di cui non si era mai scoperta l’identità, li aveva uccisi a colpi di fucile.

In seguito a quell’evento pure i suoi zii si erano allontanati, accusando la madre di portare sfortuna e di essere la causa della morte dei due uomini. L’avevano insultata, poi avevano preteso quella che secondo loro era la loro parte di animali e avevano abbandonato la cognata e le nipoti al loro destino.

Ma sua madre non aveva intenzione di lasciare che le proprie figlie pagassero per una colpa di cui non erano responsabili, così, senza sentire ragioni e sensati consigli, si era lanciata in questo lavoro che da sempre era appannaggio degli uomini.

Aveva cominciato con solo due cammelle, di cui una gravida. Il piccolo che era nato era un maschio e venne allevato con ogni cura possibile. Ne venne fuori un animale da primo premio e presto gli altri cammellieri vennero a chiederlo per far montare le loro cammelle. Dietro compenso, naturalmente.

Negli anni, altri animali vennero acquistati, altri cuccioli allevati con perizia, e il nome della loro famiglia era ormai famoso ovunque. Le ragazze, diventate ormai donne, venivano chieste in moglie, ma erano così ricche da potersi permettere di rifiutare i mariti. E anche questo non era ben visto.

Una sua sorella si era sposata l’anno prima, con un uomo tranquillo ed educato, che non aveva avanzato pretese sulla gestione del denaro della moglie e che si era adeguato a trasferirsi nella casa della suocera, contrariamente a come era d’uso. Solo dopo aver stipulato questo accordo la madre aveva acconsentito alle nozze della figlia.

L’altra sorella, la più giovane, stava trovando un accordo simile con un altro giovane. Ma, per la donna, la madre non aveva ancora trovato l’uomo giusto. O meglio, a voler essere corretti, è la donna a non accettare nessun pretendente a cui la madre possa proporre lo stesso accordo: a differenza delle sorelle, non vede motivo di sposarsi. Avere figli non le interessa, stare coi cammelli invece sì. Non le pesa la fatica e adora girare per il deserto, andare a vedere nuovi animali da acquistare o andare ad aiutare altri cammellieri che si trovano in difficoltà nell’allevamento di un cucciolo. E poi adora recarsi alle fiere, partecipare ai mercanteggiamenti a cui le è vietato intervenire direttamente, ma in cui impone il suo volere attraverso brevi cenni e rapidi sguardi lanciati verso il sensale. È ammirata da tutti per il suo occhio clinico e per la sua sagacia, ma anche odiata. Lo sa, e se ne infischia.

Dondolata dall’andatura morbida e sensuale dell’animale, la donna si gode il viaggio e assapora il momento in cui, prima di sera, potrà sedere accanto alla madre e alla sua famiglia godendo di una cena con tutto ciò che più le piace, come sempre accade quando torna da un viaggio di giorni.

Con vero piacere scorge finalmente all’orizzonte il profilo del villaggio che segna la metà del tragitto, con le sue case color sabbia e alcune rade palme. Non ha intenzione di entrarci: lì ci abita uno dei suoi zii con cui, negli anni, è nata una accesa rivalità. L’anno prima, alla fiera di Pushkar, aveva avuto da ridire con sua madre per la compravendita di alcuni animali, e ora non perde occasione per insultare lei, sua madre o le sue sorelle raccontando menzogne vergognose..

Perciò la donna si dirige verso il pozzo, senza badare al sentiero che conduce al villaggio. Il cammello sente l’odore dell’acqua, caracolla ignorando i suoi comandi fino all’abbeveratoio e comincia subito a bere rumorosamente. Senza farlo inginocchiare, la donna decide di smontare scivolando lungo il fianco dell’animale. Mentre scende, uno strano luccichio, proveniente dal villaggio, attrae la sua attenzione. Chissà, pensa, forse una ragazza che si sta specchiando per farsi bella per il promesso sposo, oppure un bimbo che gioca a riflettere i raggi del sole con un pezzetto di metallo… chissà…

Poi uno stupore improvviso le allarga gli occhi. Lo sguardo corre verso dentro, a cercare qualcosa che sfugge. Un fiore di sangue sboccia sulla sua fronte e lei si accascia ai piedi del cammello, che si gira a guardarla per un istante, interdetto, e poi riprende a bere.

Sdraiata scompostamente a terra, la donna fissa il cielo, come a voler cercare in quell’infinito senza soluzioni la spiegazione di ciò che le sta accadendo.

Dal villaggio una figura tremolante avanza nel calore del deserto: un uomo con un fucile tra le braccia. Sul suo viso due folti baffi e un sorriso soddisfatto. Tutto intorno solo grida di cornacchie e il sole che risplende indifferente.

 

di Maddalena Gregori

 

Questo post fa parte di un gioco di scrittura tra blogger, su parole scelte a turno dai partecipanti, organizzato su Verba Ludica. https://carbonaridellaparola.blogspot.it/?zx=119995a0834363b3

6 Risposte a “La donna del Thar”

  1. E’ vero, concordo con Carmela, i tuoi racconti sono sceneggiature :): belle, accurate, evocative. Sceneggiature che ti proiettano immediatamente dentro l’azione, il loro stesso fulcro, così l’emozione viaggia e si provano le stesse sensazioni del personaggio. E non è cosa da poco, per una occidentale, provare sensazioni così sconosciute, così lontane dalle proprie esperienze, anche quelle più arcaiche.
    La denuncia sociale emerge forte e, fatte salve situazioni differenti, si potrebbe applicare a qualsiasi società. Perché è vero che noi qualche conquista sociale l’abbiamo ereditata, ma la nostra resta pur sempre una spietata società maschilista, dove le donne – a parità di istruzione e professionalità – sono pagate, e raggiungono riconoscimenti lavorativi, meno degli uomini.

    1. Grazie Francesca, mi fa piacere vedere che le emozioni che cerco di trasmettere arrivino. Magari non passando attraverso il racconto il prima persona ma tramite storie di “altri”. Che, tuttavia, portano in sé parti di me. La mia donna del Thar, senza nome, diventa lo specchio perfetto per chi vuol leggere l’orgoglio e la dignità di chi cerca di sottrarsi a un’ingiusta società che vede le donne colpevoli persino della morte dei mariti (e in India è così, le vedove vengono additate come portatrici di sfortuna e costrette a mendicare e/o prostituirsi, se non a suicidarsi), mentre le figlie sono costrette a condividere la sorte della madre.
      E poi l’impotenza finale, perché il mondo e la storia sono pieno di persone (uomini e donne) che lottano per sottrarsi a un destino ingiusto, ma che il sopruso seppellisce nell’oblio.
      Grazie ancora.

  2. Come ti avevo già detto una volta, leggendoti mi sembra di essere comodamente seduta al cinema. La prossima volta preparo i pop corn.
    Anche questo racconto, come la poesia “Puttana” può essere considerato un post di denuncia e sensibilizzazione. È vero che il personaggio è immaginato ma è altrettanto vero, come dici a Benito, che hai raccontato un realtà possibile. L’india, è uno dei paesi del mondo in cui nonostante ci siano donne ai vertici della politica, la condizione della donna è decisamente triste e l’emancipazione femminile percepita come una forte minaccia in tutti gli ambiti e a tutte le scale, a partire dalla famiglia, dall’istruzione e così via. Seguono, come racconti, violenza e soppressione.
    Credo che noi occidentali dovremmo prendere reale possesso dei valori della nostra cultura -non come patrimonio degli avi da dilapidare- che ci mettono su una scala sicuramente idilliaca rispetto ad altre culture; occuparci di quei disvalori che generano il nostro marcio interno, e lottare con la forza e il coraggio della tua donna del Thar. Dovremmo, oggi più che mai, studiare e comprendere la struttura intima di culture che ci vedrebbero tornare, come donne, ad un buio medioevo della civiltà e della dignità umana.
    Scusa lo sproloquio e grazie.

    1. Grazie Carmela. L’effetto “film” è proprio quello che ricerco. Il venire proiettati nella vita di qualcun altro, il seguirne un breve tratto (percependone però anche il sostrato sociale ed emotivo), e poi lasciare il personaggio, così come si lascia andare un compagno di viaggio con cui si sono condivise alcune ore in treno. Epifanie di vite altrui che offrono il dono di uno sguardo altro, piccoli momenti di puro voyerismo emotivo, in cui possiamo rispecchiarci, riconoscerci, in positivo o in negativo. Questo è ciò che mi piace leggere e raccontare.
      L’India, poi, è una delle mie patrie d’elezione. In quel Paese ho fatto credo sette viaggi, e il Thar è uno dei luoghi più antichi e magici, un vero viaggio nel tempo. L’India è un pianeta a parte, in cui passato e presente si fondono in un mix unico, straniante, talvolta divertente e a volte invece irritante. Niente come un viaggio in India ti costringe a fare i conti con quanto sia parziale e riduttiva la tua visione della vita, e a ridimensionare perciò le tue certezze. E, come dici tu, pur essendo un Paese in cui si sono avute donne alle più alte cariche politiche, la condizione femminile è una delle peggiori, e questo grazie al sistema castale. E tuttavia è nelle caste più basse,o meglio tra i fuori casta, che ho incontrato donne che sono vere leonesse. Ma questa è un’altra storia, e magari un giorno la racconterò.

  3. Mi piace immaginare che non sia così eternamente tragico il destino degli umani declinati al femminile, anche perché nel mondo da me vissuto la realtà è stata fortunatamente diversa… Un saluto e una speranza…

    1. Niente di personale, Kreben. Mi piace raccontare storie, lasciare che un personaggio nasca, si delinei per personalità, storia pregressa, gesti. MI piace immaginare che quel che racconto siano solo piccoli stralci di realtà possibili, verosimili, e portare per mano chi dal mio racconto vuol farsi condurre. E oggi è andata così, con una donna forte in un mondo che non la può accettare.
      Grazie della tua visita e del tuo commento (spero sia stato più semplice ora commentare).

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