Un silenzio assordante

Fuochi Artificiali campanile

Egidio fugge nel bosco in fiamme, schiva alberi trasformati in torce, si divincola dalle lingue di fuoco che vorrebbero ghermirlo. Dopo una lunga lotta un albero cede alla forza del fuoco e, con uno schianto che pare un lamento, precipita su di lui, che si sveglia di soprassalto. Gli ci vuole un po’ per tornare in sé e capire dove si trova. Per alcuni istanti la sua mente passa dallo stato di terrore che il sogno gli ha lasciato in eredità e la percezione del reale. La penombra che invade la stanza non basta a attenuare il calore proveniente dall’esterno.

Giace a pancia in giù sul letto e il sudore gli cola lungo il collo per sgocciolare con snervante lentezza sulla coperta di piqué di cotone, che è ridotta a una pozza fradicia su cui il suo viso poggia.

Dove si trova? Il pensiero stenta a farsi largo tra le ondate di inquietudine del dormiveglia. Dalla finestra spalancata e schermata dalle persiane di legno, il caldo entra a ventate, accompagnato dal frinire incessante delle cicale.

Si sofferma per un po’ ad ascoltare quel suono che sa di caldo, di estate e di asfissia. Un suono persistente. Ma come faranno a far tutto quel rumore?

Gherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégherégheré

Come un trapano in miniatura gli penetra nel cervello, gli toglie il respiro; Egidio si sente affogare in quel mare infinito di rumore, la sua mente annaspa tra la monotonia inesausta del frinire e il dormiveglia che lo alletta e lo invita all’incoscienza.

D’un tratto un suono lontano, la sirena di una nave di passaggio, un fischio cupo e prolungato ne saluta l’ingresso nel porto turistico e zittisce di colpo tutte le cicale.

Il silenzio improvviso è così frastornante che sveglia del tutto Egidio, il quale, rassegnato, si gira supino e rimane lì a scrutare il soffitto rigato dalle striscioline di sole che penetrano tra le lamelle della persiana. E un altro suono si fa largo nella quiete, un parlare lento e cantilenante, la nenia quieta del dialetto sciorinato nell’aria da zia Alfonsina e zia Ebe. Parlano piano, col tono un po’ recriminatorio che da sempre usano l’una nei confronti dell’altra.

“… lui non piace… sempre quello…”

“Non è vero! Ieri… un’altra cosa ancora, e poi… tu?”

“… sempre a darmi contro! … un po’ di salsicce e qualche… fresco”

“… sicce sì! E anche due maccheroni con i …elli… che lui è contento”

Egidio, dal letto, sorride. Zia Alfonsina e zia Ebe son le due sorelle zitelle di papà. Non si son mosse mai dal paese e hanno sempre stravisto per lui, nipote nato e cresciuto in una città lontana. Principino adorato e onorato durante ogni visita estiva che la famiglia si concedeva nella casa natale.

E anche ora che papà e mamma non ci sono più e lui è ormai uomo fatto, per le zie è rimasto un bambino da viziare. Soprattutto sul piano gastronomico: ogni sua venuta è accompagnata da veri e propri duelli culinari a colpi di sugo alle salsicce, peperoni ripieni, polpette al sugo, pastasciutte al forno, zuppe di pesce, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto in dosi pantagrueliche, “…che tanto se avanza poi te lo porti!”.

Sorride divertito Egidio al pensiero della tenera sollecitudine di queste due donne anziane che sono sempre state famiglia l’una per l’altra, capaci dei battibecchi più feroci ma incapaci di stare separate per un solo giorno. Sorride, ma poi si chiede se la sua, di vita, sia poi tanto migliore della loro. E il sorriso si spegne.

Di nuovo il suono della sirena della nave, più breve stavolta: “Dev’essere ormai in porto” pensa Egidio, che si scrolla di dosso il torpore del sonnellino pomeridiano e del caldo alzandosi.

Apre piano le imposte e vede i visi da uccellini delle due zie, sedute nel portico sottostante alla finestra, che alzano il capo verso di lui.

“T’abbiam svegliato?” chiede con espressione ansiosa zia Ebe.

“No, zia, son già sveglio da un po’ ” la tranquillizza lui.

“Oddio quanto sei sudato!” esclama zia Alfonsina alzandosi di scatto “Ti preparo un bagno caldo?”

“No no! zia, per carità.” risponde Egidio ridendo “Se faccio un bagno caldo mi sciolgo del tutto! Ora mi rinfresco un attimo e vi raggiungo di sotto”.

Le zie sorridono e cinguettano qualcosa mentre Egidio lancia un’occhiata verso la nave da crociera che sta attraversando il canale di ingresso al porto. Poi rientra e si dirige verso il bagno. Dovrà spicciarsi, se non vuol far tardi. Oggi è la festa del patrono e ci sarà la processione, e i ceri con i coni di carta colorata a riparare le mani dalle sgocciolature e i canti liturgici.

È la Festa del Paese, attesa per tutto l’anno, e ogni anno a lui, fuochista pirotecnico di esperienza e figlio di queste terre, viene chiesta la coreografia e la regia dei fuochi d’artificio che saranno il momento clou della serata. Già, lui è il regista dei momenti felici, anche se la felicità lo ha abbandonato da tempo. Tuttavia questo è il suo lavoro, e gli piace, lo ama, lo ha sempre amato… come si può amare il proprio peggior nemico.

Scrolla la testa e pensa allo spettacolo che si svolgerà tra poche ore. Il più è fatto: le bombe, le bacchette, le micce sono arrivate già giorni fa, e tra ieri e stamattina son state recintate le zone in cui poi son stati posizionati e collegati i fuochi. Alla faccia della crisi, quest’anno il budget è stato superiore al solito ed Egidio ha approntato una serie di figure e di scene spettacolari che lasceranno tutti a bocca aperta.

Di nuovo la sirena della nave risuona dal porto ed Egidio ascolta quel grido triste di animale imprigionato. E come l’eco della sirena si dissolve, improvviso riprende il frinire ostinato delle cicale, intenso e furibondo come non avesse mai smesso.

Egidio arriva in piazza con le zie a lato, una per braccio, vestite coi loro abiti della festa e raggianti di fierezza. Riceve con cordialità i saluti di tutti, di chi se lo ricorda quando ancora bambino veniva qui in vacanza, ma anche del sindaco che gli ha conferito (o meglio riconfermato) l’incarico di rendere indimenticabile questa giornata; rifiuta infiniti bicchieri di vino, perché deve restare lucido, e mentre inizia la processione si avvia verso i campi sulla collina appena fuori dal centro abitato, dove la sua “creatura” attende di prendere vita.

Da lì osserva il lungo serpente di luci colorate snodarsi lungo le vie oscure del centro abitato, accompagnato dai canti tremolanti dei fedeli: “Miirailtuopopoloobeellasignoora cheepieendigiubilooggitonoora…”

Un fiume di suoni, un fiume di luci. Due lacrime scorrono lungo le guance di Egidio che per un attimo ritorna ai tempi dell’infanzia e della gioventù, quando suo padre non era ancora saltato in aria nella casamatta in cui stava assemblando bombe pirotecniche. Ripensa alla madre e a quanta fatica aveva fatto quella donna per crescere i figli da vedova, con un’impresa tanto stramba. E ripensa a sua moglie, che ha resistito per anni ma che poi non ha più retto il peso della paura di ricevere la notizia che suo marito era stato fatto a pezzi da un’esplosione, o trasformato in torcia umana. E se ne era andata coi figli, “Per salvarli!” gli aveva gridato.

Le lacrime ora scorrono libere sulle guance di Egidio, che aspira il fumo della sigaretta con la rabbia del carcerato, con la furia del nemico, con la disperazione del condannato a morte.

E non si accorge, Egidio, quando lancia lontano da sé la cicca, del colpo di vento che la rimanda indietro e la fa cadere, con la brace ravvivata dal fresco refolo, proprio su una spoletta. Si accorge però del primo botto, che esplode alle sue spalle… “No!” pensa “Troppo presto! Ancora non c’è stato il tocco delle campane!”.

E non pensa, Egidio, quando si lancia verso il passafuoco e cerca di strapparlo, che non si fa… questo non si fa…

In paese trasecolano tutti nel sentire il primo botto. Il prete ha giusto finito di dire “Il Signore sia con voi” e i fedeli son a metà del “E con il tuo…” tutte le teste son girate verso il sagrato “… Spirito” concludono di fretta zia Alfonsina e zia Ebe.

“Vi benedica Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo!” recita don Ottavio il più in fretta che può.

Un “Amen!” scomposto è la risposta dei fedeli che si sono già ammassati verso l’uscita.

“La messaèfinitaandateinpace!” sciorina don Ottavio mentre con una mano si sfila la stola e con l’altra la pianeta, lanciandole nelle mani della suora che sollecita lo assiste, e che è l’unica a mormorare un perplesso “Rendiamo grazie a Dio”.

Nel frattempo fuori è iniziato lo spettacolo. A naso per aria tutti corrono verso le loro case, i balconi o le postazioni solite, dove meglio si può godere dello spettacolo. I botti accendono la notte in una successione sorprendente di meraviglie luminose, fischi, trilli, piogge dorate, esplosioni, strappando a tutti urla di piacere, grida di ammirazione: “Guarda questo!” “Mamma mia quant’è bello!” “Questo s’era visto pure l’anno scorso… ma quello di prima no! È nuovo!”.

Gongolano, in un angolo della piazza, le due zie dell’artefice di tanta meraviglia.

Anche gli ospiti della nave da crociera attraccata in porto nel pomeriggio son tutti sul ponte a godere dello spettacolo, i mille lampi dei flash delle macchine fotografiche sembrano voler entrare in competizione con i fuochi d’artificio che hanno trasformato il cielo nel più grande teatro del mondo.

I botti si susseguono in piccoli atti che lasciano solo un breve respiro, tra uno e l’altro, fino al gran finale, una battaglia di gioia e allegria che stordisce, tramortisce, assorda e lascia tutti più felici, come dev’essere dopo aver visto il paradiso!

Gli ultimi tre botti segnalano la fine dello spettacolo e risuonano dal profondo nei cuori degli spettatori lasciandoli confusi e inebetiti, quasi sbalorditi di fronte a un silenzio che non avevano mai udito prima.

Un silenzio che scivola tra i vicoli, lungo gli orti di periferia, tra i campi, fino a Egidio, che se ne sta steso su un prato, avvolto dai fumi e dai pezzi di carta che cadono dal cielo, un sorriso sereno sul volto e le guance rigate di lacrime. Ormai le mani non le sente più, solo ai piedi sente freddo. Ma è felice, perché ha rivisto tutti, e tutti gli hanno fatto i complimenti per lo spettacolo: “Il migliore che tu abbia mai fatto!” gli han detto mamma e babbo. “Resisti, ancora poco poi passa” gli ha sussurrato suo fratello, che ci è già passato un anno prima.

Lo troveranno così, disteso sul prato, col corpo a brandelli e un’espressione sorridente in volto, i due assistenti che, partiti di corsa dal paese alla vista dei primi botti e giunti poco dopo nei pressi del campo, si erano dovuti fermare per non rischiare la pelle attendendo la fine delle esplosioni. E mentre si chinano su di lui, tra i fumi che si diradano, un coro fragoroso di cicale spezza finalmente quel silenzio assordante.

 

di Maddalena Gregori

 

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