Il vento nel cuore -II

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(continua) ….Dentro di sé invece vorrebbe prenderlo a schiaffi e ancor di più vorrebbe colpire suo marito, quest’uomo che non conosce, che non la conosce, ma che ormai governa la sua vita.

Era giovane, troppo, quando lo aveva visto per la prima volta. E prima di incontrarlo una serie di eventi inquietanti avevano improvvisamente scombussolato la sua pacifica esistenza, annunciandone l’arrivo.

Di solito era abbandonata a sé stessa, ma un giorno tutti cominciarono inspiegabilmente a occuparsi di lei trascinandola in un vortice di attività assolutamente nuove e prive di senso. Al risveglio si trovò di fronte, oltre alla solita serva, anche la vecchia bàlia, altre due serve e la sorella maggiore. Dopo un primo attimo di stupore si rese conto che nella camera c’era anche sua madre, seduta su una sedia a fianco della porta. Il fatto che tante persone si occupassero di lei era già di per sé straordinario, ma quella presenza aggiungeva all’evento una nota di inquietudine. Sua madre, figura nerovestita che interveniva solo nei momenti meno lieti della sua vita, solitamente dedita alle preghiere e al culto dei morti di famiglia, sedeva seria e la osservava senza un sorriso, mentre le serve e una delle sorelle maggiori le frullavano attorno infervorate, bisbigliandosi l’un l’altra ordini e consigli, palleggiandola come fosse un pupazzo di stoffa. Tutta l’attenzione di queste inattese e sgradite ancelle era rivolta al suo aspetto: ogni parte del suo corpo venne messa sotto esame, dai capelli, di cui venne studiata l’acconciatura più consona, al petto, troppo formoso nonostante la sua verde età e che necessitava di essere imbrigliato in un adeguato busto, fino alle mani, scurite dall’abitudine di giocare stando esposta ai raggi del sole. Furono analizzati ed esposti tutti i trucchi e gli stratagemmi muliebri tesi a rendere un corpo di donna più desiderabile agli occhi di un uomo.

La madre assisteva cupa e severa e talvolta faceva brevi cenni col ventaglio, a cui le serve obbedivano girando la fanciulla e modificando la sua postura, affinché potesse essere analizzata con comodo.

Lo stupore che l’aveva colta al risveglio fu presto sostituito da uno scandalizzato rifiuto a lasciare che quelle femmine la trasformassero in una bambola senza carattere. Si dimenò e prese a gridare finché quelle non si scostarono, stupefatte. Fu allora che sua madre si alzò dalla sedia, le si avvicinò e le segnò la guancia con un manrovescio. “Non posso credere di aver cresciuto una figlia priva del benché minimo rispetto nei confronti di coloro che hanno a cuore la sua felicità.” Le sibilò “Tu ora seguirai i consigli che tua madre e la tua amata sorella ti offriranno affinché l’uomo a cui sei stata promessa non abbia a pentirsi della sua scelta.”

‘… l’uomo a cui sei stata promessa’! Più che il ceffone, a colpirla furono quelle gelide parole.  Per la prima volta e senza possibilità di appello le venne così rivelato il destino che era stato deciso per lei; e tacque, senza più reagire.

Quelli che seguirono furono giorni faticosi, in cui trascorreva la maggior parte delle ore immobile, attendendo che su di lei si provassero belletti e vesti istoriate da pesanti ricami; giorni in cui le venivano impartiti ordini e consigli su come proporsi al suo promesso sposo, in modo da ingraziarselo e da fargli capire che lei, solo lei poteva essere la donna giusta con cui condividere la vita.

Dentro di lei l’orrore, per quel destino ignoto e imprevisto, lentamente dilagava. Eppure non riusciva a esprimerlo, non riusciva a gridare il suo rifiuto, a proclamare che non voleva far credere di essere perfetta proprio a nessuno, che lei aveva paura di questo enorme passo che altri, senza badare ai suoi desideri, avevano deciso di farle compiere. E così tacque, inebetita, obbediente, seguì ogni consiglio che le fu dato, ogni regola che le fu imposta.

Era stata strappata dal suo universo felice e tutta l’attenzione che tanto aveva agognato durante l’infanzia si era ora trasformata in un incubo a occhi aperti, in una violazione di quella libertà di cui, suo malgrado, aveva goduto per anni.

Venir privata così drasticamente della possibilità di sognare liberamente il proprio futuro fu un colpo terribile, tanto da lasciarla d’un botto priva di ogni forza di volontà personale. Andò incontro al suo futuro sposo come una bestiola all’altare del sacrificio, annichilita al punto da non avere, in seguito, ricordi precisi del loro primo incontro, né del periodo di corteggiamento che ne seguì.

La sua memoria passa direttamente al giorno delle nozze, in cui un’euforia pietosa le fece trascorrere quel giorno fatale in un’allegria innaturale, come se quella data, col suo essere il compimento del suo destino, segnasse anche la fine dell’incubo.

Un incubo attraversato dall’ombra maligna di un qualcosa di non detto e di orribile. Dal momento in cui le era stata rivelata la decisione presa dai genitori riguardo al suo futuro, ogni consiglio, ogni ordine pareva celare dietro di sé un segreto malizioso e maligno insieme: quante volte scorse, nello sguardo di una serva che la agghindava e la imbellettava, un guizzo subdolo; quante volte, mentre veniva imprigionata tra le dure stecche del busto fin quasi a farle mancare il respiro, colse, tra le lacrime causate da quella tortura, battute maliziose e oscure che le ancelle si lanciavano ridendo forte. Presentiva, dietro quegli strani atteggiamenti, una prova che presto avrebbe dovuto superare, un punto oscuro che tutti conoscevano ma che nessuno pareva volerle rivelare.

I suoi dubbi vennero rafforzati dallo strano discorso che sua madre le tenne il giorno prima delle nozze, sui doveri reciproci dei coniugi, sulla necessità di procreare per compiacere a Dio, sull’obbedienza che la moglie deve nei confronti del marito e su come una moglie rispettosa del volere divino debba essere cardine e sostegno spirituale dell’intera famiglia, mentre dovere del marito è quello di porre attenzione alle cose terrene, che hanno su di lui un’influenza maggiore. Questo discorso, che voleva essere chiarificatore, ebbe invece su di lei un effetto nebuloso, anche a causa del tono contratto e imbarazzato con cui sua madre glielo aveva esposto.

Fu solo durante la prima notte di nozze che capì cosa si celasse dietro i volgari motteggi delle serve, dietro il tono duro e riservato di sua madre, dietro lo sguardo indagatore del suo sposo: tutto il segreto stava in quel corpo mugolante che si dimenava disteso sopra il suo spezzandole il respiro, stava in quel contatto vergognoso e a tratti doloroso del suo corpo con quello del marito. Tutto sommato quella breve lotta notturna causò in lei solo disagio e un’estrema sorpresa: trovava molto stravagante, e persino goffo e ridicolo, il contegno del suo sposo, quell’uomo a cui, negli ultimi mesi, erano stati dedicati ogni attimo della sua vita e ogni sua energia, l’uomo nei confronti del quale le era stato detto che avrebbe dovuto mantenere lo stesso rispetto che doveva a suo padre, che l’aveva generata.

Per nulla preparata a quell’evento, lo stimò con lo stesso criterio che utilizzava nei suoi giochi d’infanzia e, ai suoi giovani occhi, il suo sposo divenne solo un adulto ridicolo e incomprensibile. L’unica cosa che ritenne sgradevole e che la lasciò alquanto perplessa fu quel contatto che il corpo del marito prese con quelle parti del suo corpo che da sempre le era stato vietato di conoscere: trovò sconveniente questa libertà che si era preso, ma giustificò la cosa con una probabile ignoranza delle buone usanze. Dopotutto egli era uno straniero, proveniente dalle lontane terre del nord.

Ma la breve lotta notturna tra loro due divenne un’abitudine e a poco a poco cominciò a odiare l’ora in cui si doveva andare a letto. Dopo il commiato della serva che la aiutava a spogliarsi, giaceva immobile nel buio fissando il baldacchino del suo letto, con le coperte tirate fin sul naso, attendendo il momento in cui avrebbe sentito la maniglia della porta girare, e poi scorto l’ombra candida del marito veleggiare verso di lei nel buio e infine subito, senza una parola, quello che in seguito, grazie alla rivelazione del suo frate confessore, seppe essere il dovere coniugale teso alla generazione dei figli. Prese a odiare quel momento della giornata, infastidita soprattutto dal vergognoso silenzio che veniva calato intorno a quell’atto, nonostante esso sembrasse fondamentale sia per la sua vita che per quella del marito.

Grazie al cielo, dalla nascita del figlio maschio questa abitudine notturna si era fatta molto più rara e suo marito non si presentava quasi più nella sua camera. Le loro vite scorrevano parallele, incontrandosi all’infinito, cioè mai. A meno che non si voglia definire incontri l’obbligo quotidiano dei pasti da consumarsi tutti insieme, attorno all’enorme tavolo di mogano massiccio dalle zampe leonine. Quasi per magia, all’ora prevista ogni componente della famiglia emergeva dagli spazi che gli erano propri e si presentava nella smisurata e opprimente sala da pranzo: lei rientrava dalle sue brevi passeggiate in giardino, oppure proveniva dal suo salottino privato, dove passava il tempo a ricamare, leggere o, raramente, a sbrigare la sua scarsa e formale corrispondenza. I bimbi, invece, sempre più spesso trascorrevano le loro giornate con il precettore o con la bàlia, nella sala a loro dedicata. Il marito sembrava essere il membro della famiglia più indaffarato: a volte entrava in casa in tenuta da cavaliere, talaltra, invece, accennava a visite al mercato del bestiame, dove andava a cercare nuovi stalloni, oppure a trattare l’acquisto o la vendita di bestiame di vario tipo.

Da quel che si capiva, a parte poche vacche e un paio di tori per la monta -molto richiesti, visto che erano famosi per la loro bellezza e per la loro fertilità-, c’erano solo moltissime pecore e capre, animali che sopravvivono benissimo anche in un ambiente arido e dalla scarsa vegetazione come quello in cui si trovava la fazenda. A dire il vero, lei sapeva ben poco delle proprietà di famiglia, un po’ perché il marito non riteneva utile che lei sapesse tali cose e un po’ perché la cosa non la interessava minimamente. Le uniche cose che sapeva sugli animali derivavano da incontri fortuiti che aveva avuto con alcuni lavoranti, ma non avevano certo a che fare con le questioni economiche che stavano tanto a cuore al marito.

Un giorno, infatti, durante una delle sue solite passeggiate pomeridiane, aveva azzardato un giro diverso dal solito: aveva lasciato il sentiero educato del giardino antistante la casa per avventurarsi verso gli spazi a lei quasi sconosciuti -le era capitato di vederli passando in carrozza- delle stalle e dei recinti per gli animali. A dire il vero, in quell’occasione aveva provocato un vero sconquasso tra i garzoni di stalla, stupiti dalla sua presenza in luoghi così poco adatti a una gita di piacere. Dopo aver invano tentato di dissuaderla dal proseguire nella sua atipica passeggiata, lo stalliere più anziano aveva deciso di farle da cavaliere, accompagnandola e facendole da cicerone. Veramente, fu la sua eccitata curiosità a costringerlo a spiegare, a fatica, usando termini poco ortodossi e cercando di domare la propria selvatica sintassi, quelli che per lei erano i misteri della vita di campagna. Fosse stato per lui, si sarebbe volentieri limitato a fare da silente accompagnatore, attento solo a evitarle spiacevoli incidenti. Ma per lei ogni cosa era una novità e, per un’oretta, quel giorno aveva ritrovato l’allegra curiosità della sua infanzia.

Era rimasta colpita, in particolare, dalle capre: le aveva viste solo da lontano e aveva trovato sempre molto divertente la loro particolare costituzione ossuta e la loro camminata leggiadra, in punta di zoccolo, in netto contrasto con le rozze pance tese e le mammelle rigonfie. Ma quel giorno, trovandosi per la prima volta al cospetto di tali animali, l’avevano stupita le loro pupille rettangolari. Le aveva trovate così strane che aveva sommerso di domande e di osservazioni il povero stalliere; il quale non era certo in grado di fornirle spiegazioni adeguate sul perché le pupille di quegli animali avessero quella particolare forma, ma aveva cercato di ovviare a questa carenza fornendole numerose altre informazioni di natura più pragmatica.

Da allora, le sue passeggiate bucoliche erano diventate un’abitudine, e ogni tanto compariva presso le stalle, provocando sempre un certo disagio, anche se ogni volta meno intenso. Per atto spontaneo, il vecchio stalliere era divenuto il suo ‘cavalier servente’ e, quando un paio di volte le era capitato di non trovarlo, in quanto occupato in consegne al di fuori della tenuta, aveva rinunciato al suo giretto rurale. Ma il più delle volte lo trovava lì, pronto e sorridente, lieto di offrirle il suo braccio e di rispondere, laddove possibile, ai suoi mille quesiti.

Purtroppo quelle passeggiate poco ortodosse erano mal viste dal suo consorte e, non appena la cosa gli venne riferita, lei fu gentilmente invitata a evitare di dare una tale e sconveniente confidenza ai sottoposti. Aveva smesso perciò di fare visita al vecchio stalliere senza neppure potergliene spiegare il motivo e il rimpianto di non averlo salutato fu enorme quando, una mattina, le giunse la notizia della sua morte: un giovane e vivace toro l’aveva travolto mentre lui stava cercando di fargli montare una giovenca.

Improvvisamente lei si rese conto di aver perso un amico, forse l’unico amico che avesse mai avuto dal momento in cui aveva messo piede nella tenuta di suo marito. E, a ben pensarci, forse l’unico vero amico che avesse mai avuto in tutta la sua vita.

 

di Maddalena Gregori

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